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Dalle mitiche scaturigini di un passato che ci ha fatto, inconsapevoli forse e anche involontari, abitanti di questo mondo sospeso nel nulla da riempire, alle tecnologie armate e irregimentate di un presente che sembra essersi già mangiato il suo futuro, il potere ha tessuto e continua a tessere il filo rosso (anzi nero) della sua presente assenza, della sua visibilissima invisibilità, nascosta e rinchiusa negli occhi della nostra progressiva e persistente inconsapevolezza. Mentre fuori, negli schermi della nostra mente, contingente coincidenza scorrono le immagini dell'ennesima tragedia bellica, in teatro va in scena la tragedia dell'oggi, che è la tragedia di ieri e anche di domani, la tragedia di un mondo senza uscita perché sembrerebbe aver dimenticato la speranza. Una sala semi-oscurata, un'atmosfera inquietante e claustrofobica ti attende all'ingresso in platea, mentre sul palcoscenico una mitragliatrice che sembra ancor più grande di quello che è, riempie le orecchie dei suoi

spari ripetuti e ossessionanti. Su quello stesso palcoscenico decine di uomini in divisa, ignari e per contratto obbligati a un indice comportamentale che impone a tutti loro di eseguire “con estrema serietà” ordini anche quando non solo non li condividono (ormai condividere è verbo assai desueto), ma addirittura anche quando non li capiscono, quando non capiscono la stessa lingua in cui è espresso.
Tranne alcuni, sono tutti uomini presi dalla strada e invitati, esperienza all'interno della più complessa esperienza estetica, a mettersi una divisa ispirata a quella dei poliziotti di Buster Keaton (grottesca deformazione “dell'intelligenza” del potere) senza sapere nulla di quello che dovranno fare una volta in scena.
E quegli stessi uomini in divisa ci tengono talora ostaggi, prigionieri con loro della stupidità (in senso etimologico) del potere, con la p maiuscola o minuscola che sia. Ci siamo allora? Ci domandiamo così se l'obbiettivo non stia per essere raggiunto o addirittura non sia stato raggiunto, e se ormai il Potere non abbia neanche bisogno di uno scopo per essere esercitato, anzi per il suo auto-referente esercitarsi.
Così con la naturalezza della storia ci ripropongono, quasi a maggior richiamo, anche due tragici episodi della nostra cronaca nera.
Ma tra il nero di quelle divise, due bianche figure ancora si muovono, hanno spazio e vita. La prima, e anche l'unica che ha una voce e si esprime con parole anche se sconosciute, sappiamo essere Geremia, il profeta santo della tradizione tomistica, il precursore di Giovanni il Battista. Vox clamantis in deserto, anch'essa?
Nell'oscurità del mondo dunque, come i dieci saggi di Abramo nelle città della pianura  Sodoma e Gomorra, qualcuno ancora ci ricorda che siamo umanità nell'indipendente specchiarsi e anche fuggire da ogni Dio, ma che questa umanità dobbiamo preservare e difendere con l'unico mezzo che abbiamo, la parola, libera e consapevole anche quando annuncia la sventura prossima. Annunciare la sventura è il mezzo più potente, forse, per scavalcarla.
Geremia, che, va ricordato, è stato definito uno dei più grandi “poeti” del Vecchio Testamento, è anzitutto, nella visione profondamente figurativa che il teatro di Castellucci ha sempre avuto, una macchia di luce attorno alla quale i “Motti” latini compongono come massime etiche il quadro estetico di un essere e di un esserci possibile e condiviso.
La seconda figura bianca è un bambino man mano circondato da quelle nere divise fino ad esserne completamente sommerso. Una inquietante “educazione sentimentale”, in un tempo scenico in cui la donna è assente completamente, come è assente, con essa, ogni fiducia.
Romeo Castellucci è da molti anni uno degli artisti capaci ancora di scuotere la coscienza europea e questo suo spettacolo, Bros con il necessario supporto della Societas, ne è ulteriore dimostrazione.
Un artista dalla poliedrica preparazione, affascinato dalla figuratività del mondo e quindi capace di creare una drammaturgia dello sguardo in cui parola e suono si fondono quasi pittoricamente in una prospettiva che ricorda i paesaggi a sfondo dei quadri del rinascimento italiano. Lontani ma profondamente presenti, sfuggenti e insieme essenziali.
Uno spettacolo e il suo protagonista, Geremia, assurto a ormai proverbiale rappresentazione del lamento sul mondo (le cosiddette geremiadi), che appaiono una suggestione di fondo, e così ci domandiamo il perché Romeo Castellucci lo abbia scelto e gli abbia quasi donato, unico tra tutti, il logos.
Forse perché è l'espressione della suggestione, e Castellucci è artista fin troppo avveduto ed esperto per non averla colta, di come l'artista può o deve muoversi nel mondo, non per fare dichiarazioni, ma per guardare con il suo sguardo spesso profetico, una profezia del presente, e poi testimoniare gratuitamente, cioè non al servizio di una idea del mondo o di una ideologia ma innanzitutto del mondo medesimo.
Ci viene alla mente in proposito, l'opinione in altro contesto di un grande uomo di teatro, pur così diverso da Castellucci, Bertolt Brecht che affermava: “il mondo d'oggi può essere espresso anche per mezzo del teatro, purché sia visto come un mondo trasformabile”
Uno spettacolo dunque dalla grande potenza visiva ma capace di muovere anche la luce della mente e della riflessione. A ciascuno la sua responsabilità.
Alla sala Arena del Sole di E.R.T. a Bologna, 11 e 12 marzo. Una sala gremita che forse così potrà alla fine liberarsi e liberare i suoi carcerieri. Tantissimi i giovani e tantissimi gli applausi.

Concezione e regia Romeo Castellucci. Musiche Scott Gibbons. Con Valer Dellakeza e con gli agenti Luca Nava, Sergio Scarlatella,e con uomini dalla strada. Luca Arcangeli, Filippo Arganini, Giuseppe Benvegna, Stefano Camporesi, Erasmo Cirillo, Francesco Dell’Accio, Giacomo Henri Dossi, Gianluca Ferroni, Jacopo Franceschet, Giacomo Garaffoni, Nicola Gencarelli, Marco Mazza, Luca Menozzi, Stefano Mereu, Andrea Mordenti, Luca Nava, Pierluigi Tedeschi, Andrea Tumaini, Arnaud Richard, Maurizio Rinaldelli Uncinetti, Giorgio Ronco, Francesco Rossetti, Atos Zammarchi, e con Diego Bonaffini. Collaborazione alla drammaturgia Piersandra Di Matteo, assistenti alla regia Silvano Voltolina, Filippo Ferraresi, scrittura degli stendardi Claudia Castellucci. Produzione Societas in co-produzione con Kunsten Festival des Arts Brussels, Printemps des Comédiens Montpellier 2021, LAC Lugano Arte Cultura, Maillon Théâtre de Strasbourg - Scène Européenne; Temporada Alta 2021, Manège-Maubeuge Scène nationale, Le Phénix Scène nationale Pôle européen de création Valenciennes, MC93 Maison de la Culture de Seine-Saint-Denis, ERT / Teatro Nazionale, Ruhrfestspiele Recklinghausen, Holland Festival Amsterdam, V-A-C Fondazione, Triennale Milano Teatro, National Taichung Theater, Taiwan.
Direzione tecnica Eugenio Resta, tecnico di palco Andrei Benchea, tecnico luci Andrea Sanson.
Tecnico del suono Claudio Tortorici, responsabile costumi Chiara Venturini, sculture di scena e automazioni Plastikart studio, realizzazione costumi Grazia Bagnaresi, traduzioni dal latino Stefano Bartolini. Direttrice di produzione Benedetta Briglia, addetta alla produzione Giulia Colla,
promozione e distribuzione Gilda Biasini, équipe tecnica in sede Carmen Castellucci, Francesca Di Serio, Gionni Gardini, amministrazione Michela Medri, Elisa Bruno, Simona Barducci
consulenza economica Massimiliano Coli.

Foto di Jean Michel Blasco.