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Una triangolazione mimetica dalle suggestioni che rimandano inevitabilmente e ripetutamente agli studi di Renè Girard, incentrata e mossa dal tema altrettanto girardiano dell'invidia e del risentimento che ad essa è collegato. In quello spazio (o tempo) infatti affondano e si disperdono, scomparendo come in un triangolo delle Bermude, i sentimenti profondi, sostituiti da immagini che ci rimandiamo reciprocamente come specchi e da relazioni sempre subordinate al desiderio dell'altro, e quindi alienanti e prive di vera sincerità. Lo stesso desiderio, per René Girard, non è se non è mediato.
In proposito (riferendosi ai danteschi Paolo e Francesca) lo studioso francese scrive circa i meccanismi della triangolazione mimetica: “man mano che il mediatore si avvicina, la venerazione che ispira fa spazio ad una odiosa rivalità”. Il tutto drammaturgicamente ambientato in una specie di precipizio meta-teatrale che espone la recita reciproca di due attori, uno mediocre e di successo, l'altro con il

talento ma senza il successo, governata dal compagno manager del primo, che muove le sue pedine. Entrambi coinvolti in una produzione che recupera il rapporto Mozart - Salieri (icastica rappresentazione dell'invidia e del risentimento) in cui il rapporto di subordinazione tra l'interprete designato per Mozart (l'attore mediocre) e quello designato per Salieri (l'attore di talento) è paradossalmente ribaltato nei loro nomi propri, Antonio e Amedeo rispettivamente.
Alla fine ogni equilibrio si rompe e in scena rimane solo il compagno di Antonio, la cui identità e volontà si perdono nell'assenza di specchi.
L'invidia più che il livore, dunque, come meccanismo di sovrapposizione e di difesa che agisce in un mondo nel quale il merito in fondo è superfluo, sottomesso alla capacità mimetica che la propria immagine può e riesce ad esercitare. Ma non solo il merito è superfluo ovvero subordinato, anche l'amore, e ogni altro sentimento sincero, diventa irrilevante o ininfluente in questo continuo alternarsi di immagini indotte.
Una scrittura di buona qualità, valorizzata nel transito scenico da forti intenzionalità che però talora non trovano pieno compimento, quasi che i molti (troppi?) fili in essa intrecciati non confluissero in un nodo coerente.
La messa in scena, nata dall'incontro della Compagnia VicoQuartoMazzini con il drammaturgo Francesco d'Amore, è registicamente interessante e la recitazione buona, in un contesto scenografico che valorizza la specularità intrinseca, di rimando reciproco cioè, dei ben articolati movimenti scenici.
Esito valido di un rimarchevole impulso produttivo della Compagnia degli Scarti di La Spezia, a riprova della validità promozionale delle molte residenze e laboratori organizzati da molti in tutta Italia, da cui, come in questo caso, emergono e vengono valorizzate qualità drammaturgiche e valori artistici di molti giovani di teatro, che altrimenti andrebbero perduti.

Alla Sala Mercato, ospite del Teatro Nazionale di Genova che sceglie giustamente di dare più spazio alle compagnie giovani ovvero di ricerca, dal 12 aprile al 14 aprile.
Produzione : VICOQUARTOMAZZINI, GLI SCARTI, FESTIVAL DELLE COLLINE TORINESI con il sostegno di ARMUNIA E TEATRI ASSOCIATI DI NAPOLI / C.RE.A.RE. CAMPANIA. Drammaturgia Francesco d’Amore. Regia Michele Altamura, Gabriele Paolocà. Interpreti Michele Altamura, Francesco d’Amore, Gabriele Paolocà. Scene Enrico Corona, Alessandro Ratti. Light design Daniele Passeri

Foto Rocco Malfanti