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L'educazione alla memoria ovvero l'educazione e basta, che sia o no sentimentale, non è solo una questione di concetti e precetti che qualcuno dà e qualcun'altro riceve, ma è e deve soprattutto essere una questione di suggestioni reciproche, in cui il confine tra chi dà e chi riceve sfuma fin quasi ad annullarsi. È uno stare insieme, ciascuno con la propria storia soggettiva e singolare, con la s opportunamente minuscola, dentro la Storia di tutti, quella, a volte purtroppo molto retoricamente distante e impraticabile, con la S maiuscola. L'eccidio dei sette fratelli Cervi è un episodio essenziale di quest'ultima Storia, quella eroica della Resistenza, ed è trascritta ancora, e speriamo per sempre, nei libri, fino ai manuali scolastici. Alcide Cervi, il Cide che confidenzialmente quasi dà titolo e fiducia a questa drammaturgia prodotta dal Teatro delle Briciole Solares Fondazione delle Arti di Parma, è il padre che la loro memoria ha conservato e narrato finché è stato in vita, conservato e narrato per poi

affidarla altrui, come direbbe il poeta, con tanta speranza. È dunque uno spettacolo, e prima ancora un progetto drammaturgico, a lui dedicato non in quanto custode ma soprattutto in quanto narratore di quella memoria, divulgatore e insieme scopritore dei segni lasciati da quella memoria in ciò che è ad essa seguito.
Una storia (con la s minuscola) che non si è lasciata stritolare, digerire e dimenticare dalla Storia (con la esse maiuscola), un sassolino dentro quel meccanismo che come la morte “livella” i meriti e le colpe, il bene e il male sempre presenti nella vita, anche quando fingiamo di non vederli.
Un uomo, un vecchio, che ha conservato i luoghi da cui il racconto drammaturgico prende avvio e vita, che ha conservato i figli nella sua memoria, come fossero ancora vivi e di fronte a lui, e nella vita dei nipoti che, guardandoli sempre negli occhi, ha continuato ad allevare e guidare al posto loro, dopo che i figli gli sono stati depredati.
Cide occupa la scena da solo, con il supporto di un musicista dal vivo con cui talvolta interloquisce dando profondità al transito drammatico, e la riempie di figure che, come la caverna platonica, sono anche idee che non muoiono, che non devono morire.
Racconta di sé, dei figli e dei nipoti, di quello che legge in loro del futuro che non potrà vivere, preparandoli a non dimenticare e a coltivare, con il podere di famiglia, i valori in quella terra fruttificati fino a fermentare il futuro.
Esercizi di memoria che sono dunque esercizi di immaginazione, capaci di creare mondi diversi ma tutti coerenti, per una drammaturgia all'apparenza semplice, di quella semplicità però che cerca di condividere la stessa sostanza essenziale della vita.
Alcide è morto, la casa è ora un museo, ma in fondo per merito suo tutto è rimasto e continua a restare.
Un bello spettacolo che ha colpito i molti adolescenti presenti, i destinatari di ogni possibile futuro, su un testo di valore e per una messa in scena accurata in una scenografia essenziale ma molto efficace. Una scenografia strutturata intorno agli oggetti, ideati e costruiti da regista e drammaturga, che della narrazione richiamano gli snodi essenziali, man mano emergenti fino al burattino di Cide che, al termine di tanto raccontare, si accomoda sotto l'albero posto al centro del palcoscenico.
Che lo spettacolo abbia colto nel segno lo dimostrano le molte domande che gli adolescenti hanno voluto, chiusa la rappresentazione, rivolgere agli autori.

Al teatro del Parco di Parma il 27 aprile.
Testo di Marina Allegri. Regia di Maurizio Bercini, con Maurizio Bercini e Arjuna Iacci. Musiche originali Fulvio Redeghieri, luci e tecnica Mario Berciga. Produzione Teatro delle Briciole Solares Fondazione delle Arti in collaborazione con Istituto Alcide Cervi e Caracò Teatro.

Foto Salvatore Lento
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