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Un virus tanto eccentrico quanto insidioso costringe l’umanità a un rigido isolamento domestico, innesco inevitabile di frustrazioni e malcontenti, incomprensioni e insofferenze nei rapporti interpersonali. Questa in sintesi la premessa e la materia del nuovo testo di Emanuele Aldrovandi – anche regista – pensato un mese prima dello scoppio della pandemia di Covid-19, accadimento che ne ha dunque spostato immaginario e, soprattutto, baricentro.  Due coppie, si scoprirà piuttosto mal assortite, abitano nello stesso condominio – una struttura metallica fatta di reti e aperture, color grigio-azzurro, come i costumi e gli oggetti di scena – ma fanno reciproca conoscenza soltanto in occasione del lockdown dovuto a una subdola pandemia che prima trasforma gli uomini in tacchini per poi condannarli a una morte dolorosa. C’è il marito appena diventato padre che rischia il crac finanziario dopo aver investito tutto in un agriturismo in Umbria mentre sua moglie, un’ostetrica, soffoca la fatica e l’alienazione della maternità acquistando forsennatamente online; c’è il rampante esperto di marketing che vorrebbe andare a farsi una corsetta mentre la sua compagna, un’ecologista immalinconita da infinite insicurezze,

canta e suona dalla finestra. E ci sono – interpretati dallo stesso attore, a sottolinearne l’intercambiabilità – i corrieri che sfidano il virus per non morire di fame…
L’azione del testo si svolge così in uno spazio ristretto – l’androne del condominio – e nell’intervallo di tempo anch’esso limitato della conversazione, ognora più aggressiva, fra i due uomini, cui si aggiungono poi le rispettive compagne. Aldrovandi rielabora nel loro incalzante dialogo molte delle argomentazioni, sovente aleatorie ovvero velleitarie, sostenute sui social così come nei salotti televisivi e, in misura minore, sui quotidiani da impauriti e ligi osservatori delle norme per il contenimento del contagio da una parte; e, dall’altra, scettici ed egotici aggiratori di quegli stessi divieti.
Ma, accanto al crescendo, aggressivo e quasi infantile, dello scambio fra i due uomini, l’autore emiliano inserisce il confronto fra le due donne, l’una madre apparentemente felice, l’altra convinta che l’umanità sia oramai troppo numerosa e che mettere al mondo un figlio nel nostro mondo prossimo alla catastrofe ecologica sia un atto tanto scriteriato quanto egoistico. E, se il ritratto delle due figure maschili ci appare decisamente più riuscito – uomini fra loro più simili di quanto loro stessi immaginino, incarnazione delle insicurezze e dell’immaturità, dell’egocentrismo e della mancanza di ampiezza di pensiero della generazione dei trenta-quarantenni di oggi – i personaggi femminili risultano piuttosto piatti e stereotipati.
Un neo in un testo – e in una messinscena – che costantemente lotta per scansare luoghi comuni e retorica da post-pandemia, sforzandosi di trovare soluzioni drammaturgiche e registiche non scontate – così, dei tanto “evocati” tacchini ne compare soltanto uno, al termine dello spettacolo. Aldrovandi realizza dunque un lavoro che, pur nelle sue imperfezioni, ha il merito di introdurre una necessaria riflessione sullo stato dell’arte dell’uomo europeo che, dopo decenni di spensierata noncuranza, è stato violentemente costretto a rimettere in discussione senso e modalità del suo essere nel mondo.  
 
Testo e regia Emanuele Aldrovandi. on Giusto Cucchiarini, Eleonora Giovanardi, Luca Mammoli, Silvia Valsesia, Riccardo Vicardi, e con la partecipazione vocale di Elio De Capitani. Scene Francesco Fassone. Costumi Costanza Maramotti. Luci Luca Serafini
Consulenza progetto sonoro GUP Alcaro. Maschera Alessandra Faienza. Progetto grafico Lucia Catellani. Aiuto regia Giorgio Franchi. Musiche Riccardo Tesorini. Produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale / Associazione Teatrale Autori Vivi;
in collaborazione con La Corte Ospitale – Centro di Residenza Emilia-Romagna.
Al teatro Gobetti di Torino fino al 29 maggio

Foto Luigi De Palma