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Si è da poco tempo conclusa la prima esperienza, il primo anno accademico direi, di “Malagola – Pratiche di creazione vocale e sonora”, corso di alta formazione artistica e teatrale dedicata appunto al suono e alla voce che lo articola in scena e non solo, dandogli così la sostanza del sogno, ovvero trasformandola in corpo, un corpo concreto che può andare al di là del corpo dell'attore stesso che agisce quel suono e quella voce. La risonanza è casuale (Malagola è il nome della famiglia nobiliare già proprietaria del palazzo che ospita i corsi), ma come tutte le coincidenze ha anche una profondità liricamente inaspettata, quasi inattuale, che può in ciascuno diversamente fruttificare. Un progetto di scuola e di Centro Studi voluto fortemente da Ermanna Montanari, che ne ha la direzione e che probabilmente ha da sempre maturato una specifica visione di sé e del teatro che l'ha portata a concepire, silenziosamente, una siffatta iniziativa. Al suo fianco innanzitutto, come condirettore, il

Professor Enrico Pitozzi, dalla cui collaborazione sono già nate alcune interessanti pubblicazioni (la prima nel 2017). “Una scuola come archivio dell’ascolto che guarda a riferimenti di figure che hanno lasciato un’orma indelebile: «Antonin Artaud, Laurie Anderson, Meredith Monk, Carmelo Bene, Maria Callas, il vento, le rose, l’acqua, le preghiere, la gente, Demetrio Stratos, Leo de Berardinis, Perla Peragallo, Janis Joplin, e altri loro, nostri compagni e compagne di via. E luogo di incontrollato sgorgare delle emozioni, urla echeggi soffi risa»”. Questa la definizione che la scuola dà di sé nelle parole di Ermanna Montanari..
Numerosissime le collaborazioni istituzionali, a partire ovviamente dal Teatro delle Albe che è anche Ermanna Montanari e dall'ERT di Valter Malosti, per le quali, onde non annoiare il lettore, rimando alle altrettanto istituzionali comunicazioni d'uso.
Non è certo questo il contesto per un bilancio, che non ci spetta né ci compete, quanto questo può essere il momento e il luogo di una breve riflessione su ciò che contraddistingue “Malagola” da altre iniziative che si ispirano ad analoghe corrispondenze e pratiche estetiche.
Quello che, credo, colpisca di più è la multidisciplinarietà vissuta in maniera assai singolare, quasi che i singoli campi di studio attraversati (i cosiddetti “moduli”) e dissodati fossero i rami di una folta chioma di un unico tronco, rami da curare, potare e salvaguardare uno per uno, ma avendo sempre a mente quel grande albero nella sua totalità.
Quel tronco, quell'albero è naturalmente il teatro, un teatro che qui esce da se stesso (dal suo essere etimologicamente “visione”) per poter rimanere se stesso, recuperando cioè, lato sensu, allo sguardo scenico, dell'attore nel suo più ampio esserci ma anche dello spettatore nella sua complessità e mutabilità, anche il suono e la voce quando è educata e guidata a farsi corpo scenico.
Non metaforico, si badi bene, ma corpo concreto, materia (la voce, e il suono che come una onda in uno stagno, la propaga) fisicamente manipolata dall'artista-attore, come da un vasaio la creta custode della sua creazione, della sua comunicazione e relazione.
Del resto Ermanna Montanari lo ha fatto e lo fa con costanza e creatività, con passione e anche commozione, e in questo percorso ha scoperto non solo concetti ma anche tante “cose” di sé, e ormai tante che credo sia naturale per lei metterle a disposizione, condividerle. Questo in fondo è “Malagola”.
Quindi, insieme alle più consuete pratiche di creazione vocale o sonoro/musicale, il corso ha approfondito l'estetica e la fisiologia, ma infine anche l'economia, pratica apprezzabile e nobile quando può essere ed è al servizio dell'umanità dell'uomo.
Ma c'è anche un altro aspetto che va sottolineato. Corso e Centro Studi non sono chiusi in se stessi e autoreferenti, come talora succede, ma coltivano una luminosa apertura al territorio, alla comunità e attraverso di questo al mondo, testimoniata dal loro essere stati disponibili ad accogliere i contributi più diversi che da quei territori, da quelle comunità e quindi dal mondo desiderassero collaborare ed esprimersi.
Cito, tra essi, il contributo che mi ha visto partecipe e testimone, quello di Sorella Anastasia, colta e straordinariamente comunicativa monaca del Monastero delle Carmelitane di Ravenna, teologa che da quarant'anni studia la Bibbia sia in italiano che in ebraico.
Sorella Anastasia ha proposto una affascinante e molto profonda interpretazione, attraverso lettura ed esegesi della Genesi nelle due versioni accettate, della forza creatrice della voce e della lingua originaria, quasi sia stata essa lo strumento principe e ineludibile (e Dio disse …) della creazione stessa.
Un tramite che suggerisce un principio materno in quell'agire divino (ricordiamo in proposito le parole di Giovanni Paolo Primo) che si dipana in un tempo ultra-storico nella scoperta dell'uomo come principio sessuato ma indiviso, fino ad esprimersi nella rivelazione dell'amore come energia condivisa che nei Salmi e nel Cantico dei Cantici spesso si esprime con grandissima forza, appunto, erotica.
In questo disegno anche la cacciata dall'Eden assume un aspetto nuovo, non più condanna da parte di un Dio patriarcalmente puntivo, ma bensì scoperta dei frutti della conoscenza che, quasi a tutela della nostra condivisione del divino e quindi dell'amore, Dio stesso ha posto a nostra disposizione. Un portare miracolosamente l'eterno nella Storia e nell'esperienza esistenziale dei singoli di cui la parola è voce che si esprime nel tempo.
Una esperienza, dunque, che ha favorito anche frutti in parte inaspettati, come quest'ultimo, e che può, credo, arricchire il campo vasto del teatro, del nostro teatro, quello che è comunione di pensieri anche quando non ne siamo consapevoli.