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Di generazione in Generazioni, siamo ormai alla diciottesima, questo appuntamento rodigino tra i rami del grande fiume oggi un po' in crisi come tante cose da noi, si conferma nella sua disponibilità ad accogliere e a promuovere, indifferente quasi, ovvero testardamente resiliente ad ogni difficoltà che attraversa il suo orizzonte. Soprattutto, covid o non covid, guerra o non guerra, tra sospensioni imposte e riprese, a fianco delle giovani creatività che sono il nucleo, espresso nell'ormai tradizionale “Bando Opera Prima”, del suo pensiero estetico e della sua prassi artistica, ritrova il suo profondo respiro internazionale, forzatamente assente in questi ultimi tempi. Se molti, infatti, negli anni più recenti hanno ripiegato verso una elaborazione più intima, ovvero proseguito in una ricerca che aveva in loro stessi, inevitabilmente, il suo baricentro, il Teatro del Lemming con Massimo Munaro ha confermato, se mi si consente il paragone religioso, la sua natura di ordine mistico ma insieme militante, rivolto al

mondo che vuole attraversare e guardare, e il cui sguardo vuole attrarre, per modificarlo. Lo fa portando il teatro, italiano e internazionale, dentro una città di provincia, quale è senza offesa Rovigo, che forse non andrebbe, come alla montagna Maometto, verso il teatro, conosciuto magari solo attraverso pallidi riflessi televisivi. E l'esito è confortante, di fronte al teatro che entrava nella città, nelle vie che irrorarono la sua vita come le vene il suo corpo, la comunità ha partecipato, è stata coinvolta, e oltre la volontà e la consapevolezza è stata un attore dello spettacolo 'totale' di questo festival.
Ora il consueto breve diario dei giorni della mia condivisione:

I'LL WRITE YOU SOMETHING NEW  - MARIA LUISA USAI
Uno spettacolo che ha una dimensione definita pur non avendo un termine visibile. In un certo senso è un mondo che si fa e che ritrova la bellezza della scrittura in una forma che sembrava perduta, quella della lettera scritta a mano, della corrispondenza cartacea. Così non recupera solo un modo di comunicare ma soprattutto un modo di vivere, di essere al mondo, una potenza relazionale, quella custodita nella fatica di vergare parole su un foglio, che i moderni social, paradossalmente, neanche si immaginano nella loro stupida (etimologicamente parlando) freddezza. Ogni spettacolo è un appuntamento, è una antica stazione di posta appunto. Quindici persone intorno a un grande tavolo leggono e, se vogliono scrivono, attivando possibili risposte future, e così continuando, per conoscere lo sconosciuto. Maria Luisa Usai come una guida virgiliana accompagna e asseconda una creatura teatrale che ha inventato e fortunosamente abbandonato ad una vita altra, incerta ma condivisa. Alla Gran Guardia, il 18 giugno in prima nazionale.
Di e con Maria Luisa Usai. Produzione Spazio T in coproduzione Festival Opera Prima.

CONCERTO FOR MANDOLIN AND STRINGS IN C MAYOR BY VIVALDI – GIL KERER
Bello. Può sembrare questa una affermazione forse banale, ma è immediata e diretta per esprimere una sensazione che non necessita di tante espressioni più complicate e come tali, forse, capaci di allontanare e non di avvicnare. Una straordinaria fusione di musica, la barocca musica del nostro Vivaldi, e movimenti scenici e ancor prima fisici di due corpi in coreusi che sembrano reagire con straordinaria puntualità agli stimoli della partitura. Non solo ma soprattutto capaci di elaborare quegli stimoli attraverso gli impulsi traformando il segno che ne trasmette l'intimo ed essenziale significare, il suo sentimento insomma, senza deformarlo, anzi conservandolo intatto e illuminandolo ulteriormente. Una compagnia israeliana la cui presenza conferma lo sguardo aperto del Lemming e di Munaro. Uno spettacolo aperto alla città, nella sua piazza principale che ha attratto e impressionato, e riuscire a impressionare non è poco in una notte di vacche tutte nere. In Piazza Vittorio Emanuele II, il 18 giugno.
Coreografia Gil Kerer. Con Gil Kerer e Lotem Regev. Musica “Concerto per mandolino e archi in Do Maggiore di Vivaldi” eseguita da Avi Avital e l'Orchestra Barocca di Venezia.

REPORT TO AN ACADEMY – ZERO POINT THEATRE COMPANY
Il racconto omonimo di Franz Kafka è uno straordinario, e anche dolente, spaccato della nostra irriducibilità esistenziale, prima che metafisica. È una storia conosciuta e per conoscerla non è necessario leggere il racconto tanto quel meccanismo è dentro di noi. La scimmia Rotpeter strappata alla sua natura vuole e diventa umana, umana però come lo è un rapporto ad una 'Accademia'. Noi strappati all'indistinto vogliamo avere una identità e ce la costruiamo, spesso fallendo come lei. Questa giovane compagnia greca sceglie una messa in scena integrale, mista di drammaturgia e performance per cogliere i tanti doppi che ne costellano gli sviluppi. Il ritmo è incalzante e i protagonisti in scena sono molto bravi, ma una certa ripetitività e prevedibilità dei meccanismi rischia di trasformare l'ironia, che è la cifra ineludibile dello scrittore ceco, in tragedia facendoci perdere la giusta distanza critica. Un limite della regia di Savvas Stroumpos, allievo e collaboratore di Theodoros Terzopoulus, che non inficia però la notevole qualità complessiva dello spettacolo. Al Teatro Studio, il 18 giugno in prima nazionale.
Regia Savvas Stroumpos. Con Ellie Iggliz, Evelyn Assouad, Rozy Monaki, Anna Marka Bonissel, Babis Alefantis, Giannis Giaramazidis, Ntinos Papageorgiou. Scene Spyros Mpetis. Luci Costa Bethanis. Costumi Savvas Stroumpos, Rozy Monaki. Sound design Leonidas Maridakis.

MBIRA – ALDES/ROBERTO CASTELLO
Per molti decenni del nostro, anche più recente, passato l'Africa (continente e cultura) è stato un pensiero molto presente nel nostro occidente, tra miti e sfruttamenti coloniali. Ora l'Africa sembra dimenticata, anche se lo sfruttamento rimane e la povertà pure. Questo spettacolo ci interroga in un modo eterodosso, guardando a noi dell'occidente e non all'Africa, e a noi dell'occidente domanda quanto ne siamo stati coinvolti o trasformati. A noi ricorda un continente in mutamento, molto più vivace culturalmente di quanto pensiamo, i cui segni sono ormai in noi, e così profondamente da non poterli più distinguere. In scena due danzatrici di grande qualità, che si esprimono in corpo e voce. Due anche i bravissimi musicisti, soprattutto l'africano, ultimo discendente di una famiglia di Griots che tali sono dal 1300 (ricordate le “Albe africane”?). Con loro Roberto Castello, sorta di voce narrante e documentante che mentre gli artisti 'vivono' sembra volerci rassicurare e illuminare, soprattutto informare correttamente. Un effetto straniante e anche stridente che apre spazi di diversa comprensione. Nel Chiostro degli Olivetani il 18 giugno.
Coregrafia e regia Roberto Castello. Con Giselda Ranieri e Ilenia Romano (danza/voce),  Marco Zanotti (percussioni, limba), Zam Moustapha Dembélé (kora, tamani, voce, balaton), Roberto Castelli. Musiche Marco Zanotti, Zam Moustapha Dembélé. Testi Renato Sarti, Roberto Castello e la collaborazione di Andrea Cosentino. Produzione ALDES -Teatro della Cooperativa.

MISS LALA AL CIRCO FERNANDO – CHIARA FRIGO/MARIGIA MAGGIPINTO
Una vita, ogni vita artistica ma non solo, si deposita sul mondo che la contiene come una polvere, come una aurea benjaminiana che da significato non solo alle cose che la intercettano ma anche o soprattutto alla vita stessa. Marigia Maggipinto ha studiato con Pina Bausch e per molti anni è stata ballerina del suo Tanztheater. In questa performance, dunque, gesti e parole cercano di recuperare tutto o qualcosa di ciò, in un filo che lega il passato, e che dà significato, al presente, che quel significato riceve. Una danzatrice performer, come in un baraccone di fenomeni (la Miss Lala del titolo), ci mostra i suoi oggetti e ci invita a scegliere, così da attivare il ricordo e poterlo rivivere mostrandolo. Frammenti di memoria, riflessi di esistenze, la propria e quella di chi ci ha attraversato il cammino. Vediamo così passaggi che danno sostanza a ciò che era solo ricordo, come la parabola di Pina Bausch e della sua danzatrice, nel loro reciproco influenzarsi. E vediamo come in uno specchio che si riflette la prospettiva del tempo. Alla Sala Flumina del Museo dei Grandi Fiumi il 19 giugno.
Con Marigia Maggipinto. Ideazione e regia Chiara Frigo. Drammaturgia Renato de Torrebruna. Disegno luci Moritz Zavan Stoeckle. Musica Laura Masotto. Cura del progetto Nicoletta Scrivo. Produzione Zebra Cutural Zoo.

FIO AZUL – COLLETTIVO ROSARIO
Voce e corpo che amalgamano il ritmo della vita quando può essere condivisa. Un esempio di Body Music capace di raccogliere le suggestioni di molte culture e di renderle immediate e disponibili. Una esplorazione che cresce e si rinnova, insieme ampliandosi come un'onda nello stagno delle comunità che man mano si trova ad attraversare. “Rosario” è un giovane collettivo brasiliano capace di intercettare le molte culture, non solo musicali, in cui sono stati forgiati, un gruppo che fa dell'armonica espressione corporea e vocale un tramite per rintracciare ed esprimere sentimenti e affettività relazionali spesso accantonate, e trovare per esse forme di comunicazioni che mettano in profondo contatto, tra loro e con lo spettatore, nel qui e ora della esibizione. Uno spettacolo molto suggestivo, anche questo offerto alla città in una delle sue principali piazze. Un dono ricambiato dall'interesse dei più. In Piazza Garibaldi il 19 giugno in prima nazionale.
Regia Charles Raszl. Con Charles Raszl, Andrea Sampalmieri, Claudia Pellegrini, Gennaro Pantaleo, Sara Tinti, Silvia Sasso, Marta Paganelli, Simone Magnoni, Valentina Romizzi.

UNA RIGA NERA AL PIANO DI SOPRA – MATILDE VIGNA
A confermare forse un legame più forte di quanto appaia, ha chiuso il festival questa interessante drammaturgia di una giovane, e in crescita, attrice rodigina, in una produzione di Emilia Romagna Teatro. Una drammaturgia che trova la sua ispirazione, o meglio la sua suggestione estetica, in un evento che ha segnato la città, la tragica alluvione del Polesine del 1951. Ma è una pièce che non ha niente di documentario, e poco anche del tradizionale teatro di narrazione. È infatti un racconto di oggi che parla dell'odierno sradicamento che porta uomini e donne a continuamente cambiare per restare alla fine sempre uguali. Uno sradicamento che è una sorta di fuga di fronte alla vita, come una fuga era quella dei profughi di settant'anni fa, ma di fronte alla crudeltà della natura. Uno specchiarsi, in cui l'oggi si mostra paradossalmente perdente rispetto a quel passato, che è un interrogarsi rispetto all'incapacità di essere e alla perdita, anzi alla fuga, di ogni identità sommersa dal baumiano e liquido fiume incattivito delle moderne società. Un testo interessante, ben scritto e ben portato in scena. Efficace la recitazione. Al Teatro Studio il 19 giugno.
Di e con Matilde Vigna. Dramaturg Greta Cappelletti. Progetto sonoro Alessio Foglia. Disegno luci Alice Colla. Costumi Lucia Menegazzo. Aiuto alla regia Anna Zanetti. Scenografa decoratrice Ludovica Sitti.

Ma la vera chiusura del festival, e l'ultimo regalo del musicista Massimo Munaro che ne ha suggellato il successo, è stato l'aver portato nel cuore (anche metaforico) della città, i Giardini Due Torri, un concerto come capita raramente di ammirare. Sven Helbig è uno dei musicisti europei più apprezzati e cosmopoliti, capace di amalgamare le suggestioni della classica con gli orizzonti della elettronica, sia sul piano ritmico, che su quello melodico e strumentale. Ha infatti partecipato al Festival di Bayreuth e insieme ha collaborato con il rapper Eminem. Definisce sé stesso parlando della cura e del rapporto quasi maniacale che l'artigiano ha con il prodotto del suo fare. Abilità dunque, nel suo senso più profondo, come qualità prima di ogni arte, e prima ancora di ogni pensiero. Con il suo Piano Quartett(viola, violino, pianoforte), ha eseguito dal vivo il suo album SKILLS (appunto “abilità”).