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Può un gesto 'sconsiderato', ovvero incongruo o anche inattuale, nel suo senso più profondo, sconfiggere la morte? E, in fondo, cosa c'è di più sconsiderato e inattuale dell'amore, la nostra merce più preziosa, in quella foresta oscura, tra i fratelli Grimm e Andersen, in cui l'umanità ha cercato e cerca tuttora di nascondere lo sfregio più grande che abbia mai fatto a se stessa, la Shoah, le cui innumerevoli eco rimbalzano tuttora, purtroppo, nelle guerre, sopraffazioni continue e tragedie dimenticate dell'oggi? Sono domande essenziali, anche se non abbastanza spesso riconosciute, cui questa narrazione scenica, dal raffinato e profondo testo di Jean Claude Grumberg, cerca di rispondere non tanto  insegnando quanto narrando di una profonda eticità, fonte di quella irriducibilità umana in grado di sopravvivere a se stessa, che sta nelle cose e nel fare, basta saper scegliere da e in che parte stare di quella foresta. Tra l'altro, per andare ad un altro grande esploratore dei sentimenti e cioè Francois

Truffaut, è giusto ricordare che Jean Claude Grumberg fu co-sceneggiatore de “L'ultimo metrò” che in analogo argomento affondava la sua comune sensibilità narrativa.
Allora la foresta oscura delle nostre fiabe, piene di orchi e pericoli che noi stessi proiettiamo tra le ombre di alberi intricati, può diventare il bosco dei giusti, pochi forse ma essenziale salvezza di molti, molti di più.
Perché ogni favola che si rispetti ha la sua morale.
Un testo strutturato dunque come una fiaba, tra abbandoni e pericoli, fatto di luci e ombre che corpi e mani disegnano sullo schermo della grande Storia. Una fiaba per bambini che gli adulti sembrano aver dimenticato ma che talora è più forte del loro stesso oblio. Questa la risposta alle nostre domande, una risposta che non è neanche necessario pronunciare, perchè è anche questa una fiaba che inventando dice o meglio, in un certo senso, genera il vero.
Così la neonata avvolta nel telo della preghiera gettata dal treno diretto ad Auschwitz, il padre che quel gesto inconsulto ha compiuto e che si inventa barbiere del campo per sopravvivere, la taglialena e il taglialegna senza figli che trovano il loro pollicino e via narrando, da tasselli di esistenze tanto inventate da essere profondamente vere, si trasformano in squarci strappati dell'oscurità presente per scorgere di nuovo l'umanità che possiamo essere e che forse nascostamente siamo.
Ma è l'ironia, che richiama la tradizione della comicità yiddish, ed è soprattutto il disincanto che ne guida il procedere narrativo, e bravo è stato il traduttore e drammaturgo a mantenere quegli spazi senza mai cadere nella vuota celebrazione o nell'ideologico svuotamento, moralmente periglioso come tanto politically correct.
Spazi tanto più efficaci perchè in grado di trascinare ciascuno di noi dentro il sentimento profondo del racconto, che pronuncia parole che così raramente si sentono vivere e che sembrerebbero anch'esse inconsulte: amore e solidarietà ma anche gioia e speranza.
La scenografia suggerisce con delicatezza i tragici magazzini cui nei campi nazisti si accumulavano vestiti e oggetti (anche i capelli) con glaciale efficienza e determinazione, riacquisendone parte alla vita della fiaba e al suo andare raccontando.
Bravi i due protagonisti, mai oltre la giusta misura tra fiabesco e grottesco (in fondo due assonanze estetiche profonde) mentre restano profondamente dentro la narrazione e così riescono a suscitare un raro sentire condiviso. E bravi a chiudere il racconto sull'ironica altalena tra vero e falso che è il senso della odierna confusione.
Un bello spettacolo che conferma scelte felici del Festival di Lunaria Teatro, nato sottovoce e man mano, anche per queste scelte, cresciuto nell'attenzione nazionale, e lo dimostra il recentissimo riconoscimento di “Festival multidisciplinare” ottenuto per il prossimo triennio dal Ministero, come ci ha annunciato con giusta soddisfazione sua e nostra, Daniela Ardini.

In Piazzetta San Matteo a Genova il 22 luglio.
Di Jean-Claude Grumberg, traduzione e regia di Beno Mazzone, con Giada Costa e Giuseppe Vignieri, luci Gabriele Circo e Fiorenza Dado. Teatro Libero Palermo.