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I festival teatrali, specialmente nel sud Italia, vanno sicuramente (ri)pensati e quasi condotti per mano, avendo presente che questa forma di proposta teatrale perde facilmente di senso se la si lascia indifesa di fronte alle storture delle burocrazie e delle amministrazioni oppure soltanto alla sciatteria che premette il dato del finanziamento pubblico a quello del progetto culturale e artistico. È triste dirlo ma è così. Raccontiamo di “Primavera dei teatri 2022”, raccontiamo del Festival di Castrovillari in provincia di Cosenza, raccontiamo delle kermesse che, nel sud Italia, rappresenta forse l’appuntamento più prestigioso e riconosciuto per la ricerca teatrale italiana e complessivamente per i nuovi linguaggi della scena. A organizzare questa manifestazione è sempre “Scena Verticale” la compagnia di Saverio Laruina, Dario De Luca e Settimio Pisano che, riflettendo criticamente sulle modalità dei bandi per l’assegnazione dei fondi per lo spettacolo della regione Calabria, non hanno esitato l’anno

scorso a interrompere la serie ininterrotta di questa importante manifestazione per rilanciarla quest’anno con una novità rilevante, ovvero un’anticipazione di tre giorni (dal 27 al 29 settembre) a Catanzaro dedicata alla danza contemporanea italiana e internazionale (Collettivo Mine, El Conde de Torrefiel, Marina Otero, Renata Carvalho, Alessandro Sciarroni, Silvia Gribaudi e Matteo Maffesanti). E poi ovviamente la consueta e bellissima ricchezza di “Primavera dei teatri”: una straordinaria selezione di spettacoli della migliore leva della scena italiana contemporanea, e poi, ovviamente, incontri, laboratori, eventi, presentazioni di libri e di studi, riflessioni e quello stare insieme fecondo di teatranti critici e operatori che è forse il valore aggiunto più prezioso di questa manifestazione. Ovviamente, in un festival di ben dieci giorni e ricchissimo di proposte artistiche è difficile dar conto di tutti gli spettacoli che sono andati in scena sia a Catanzaro che a Castrovillari (nel Teatro comunale “Vittoria”, nel teatro Sybaris, nel Castello Aragonese).
Per quanto ci riguarda ci riferiamo al reading sul V canto dell’Inferno condotto da Saverio Laruina (tutti i giorni in una saletta del Castello Aragonese) che dialoga in scena col canto di Cecilia Foti e con gli apporti video di Antonio Romagnoli. Il disegno registico è di Dario De Luca. Un lavoro di delicatezza e concentrazione assolute che proietta nel mondo dantesco la sensibilità attorale e l’intelligenza interpretativa di Laruina.
Ci riferiamo a “Dammi un attimo” (30 settembre, Teatro Sybaris, prima nazionale) della compagnia Rossosimona (drammaturgia e regia Francesco Aiello e Mariasilvia Greco, con Francesco Aiello, Mariasilvia Greco ed Elvira Scorza). Uno spettacolo che all’inizio si dispiega con una certa vaghezza ma poi s’impenna e trasforma quella vaghezza in intelligente leggerezza e affronta con coraggio la domanda che è il senso stesso dello spettacolo: l’interrogazione sull’incapacità della attuale generazione di trenta-quarantenni, nel mondo occidentale e sicuramente nel nostro paese, di assumere il ruolo stesso di genitori, prima ancora le funzioni e responsabilità. Un’incapacità il cui senso è difficile da chiarire intrecciato com’è a nuove necessità, a fragilità economiche, a modelli sociali in radicale ridefinizione. Uno spettacolo interessante il cui unico limite è forse l’aver inquadrato quest’interrogazione fondamentale per il futuro del mondo in un contesto culturale – il nostro – veramente troppo piccolo e privo di respiro.
“Danzando con il mostro” (sabato primo di ottobre, Teatro Vittoria, anteprima nazionale) di e con Serena Balivo, Roberto Latini e Mariano Dammacco, con la drammaturgia dello stesso Dammacco e le musiche di Gianluca Misiti. Una riflessione teatrale densa di senso e condotta a due voci da Balivo e Latini (laddove quella di Dammacco in scena è poco più che una presenza). Una riflessione su quanto di mostruoso accompagna la nostra vita e ci avvolge fin a costringere a toccare con mano la dura realtà: la dimensione della mostruosità è una dimensione totalmente umana e con essa dobbiamo imparare a fare i conti fino in fondo, fino a scoprila in noi stessi. Balivo e Latini sono sicuramente in grado di incarnare e interpretare il testo con la giusta energia, ma, soprattutto per quanto concerne Latini, la sua abituale dimensione di potente performer, più che di attore, fa resistenza all’efficacia dello spettacolo.
Ci riferiamo quindi al bellissimo “Confessioni di sei personaggi” (sabato primo di ottobre, Teatro Sybaris, prima nazionale): una riflessione sui “Sei personaggi in cerca d’autore” di Pirandello condotta da Caroline Baglioni e da Michelangelo Bellani (che cura la regia) e con in scena la stessa Baglioni e Stella Piccioni. Uno spettacolo denso di pensiero che va dritto al cuore della scrittura di Pirandello per rilanciarla, anche con l’aiuto di una telecamera che amplifica le immagini e le emozioni e moltiplica i punti di vista, con un acume e una potenza sorprendenti.
“Nitropolaroid”, della compagnia/comunità Crack24 (regia di Riccardo Lai e Lorenzo De Iacovo, con Agnese Mercati, Elia Tapognani, Sonia Burgarello, Riccardo Lai) è andato in scena domenica 2 ottobre nel Teatro Vittoria. Uno spettacolo denso di storie e di atmosfere che però aggiunge troppi motivi a un asse drammaturgico (la vicenda biografica del giovane protagonista sardo Sebastiano) che si rivela troppo esile per sostenerli tutti efficacemente.
Sempre domenica 2 ottobre, ma al Teatro Sybaris, è andato in scena in prima nazionale “I Macbeth” di Enzo Vetrano e di Stefano Randisi (che firmano anche la drammaturgia e la regia). In scena, oltre agli stessi Vetrano e Randisi, ci sono Giovanni Moschella e Raffaella D’Avella. Un’interrogazione senza sconti, serrata, durissima, coraggiosa sull’avverarsi del male e della ferocia ossessiva, psicotica, insensata nella realtà di persone comuni. Una ferocia che nello spettacolo balugina nella follia di alcuni episodi della cronaca degli ultimi anni ma che è inutile ricordare nella loro concretezza. Una ferocia che lievita misteriosamente nella storia, assorbe echi lontani e si trasforma infine nella immonda violenza della guerra. Sullo sfondo, quasi a mo’ di basso continuo, il mito ancestrale e insanguinato del Macbeth shakespeariano.


Tutte le foto sono di Angelo Maggio.