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Il primo impatto con uno spettacolo della compagnia ANAGOOR, nel lontano 2017 con RIVELAZIONE /SETTE MEDITAZIONI INTORNO A GIORGIONE, e poi ancora nel 2019 con SOCRATE IL SOPRAVVISSUTO-COME LE FOGLIE, mi ha permesso di sottoscrivere un “patto” inconscio con queste produzioni: quando Napoli ospiterà questa compagnia, correrò a vedere lo spettacolo. Voglio scrivere questa recensione in prima persona, così da far comprendere come l’approccio con questi studi drammaturgico/letterari e artistici, come mi piace definirli, è molto forte e produce sfumature personali in ogni spettatore, perché la comprensione di spettacoli così eleganti e ricchi è complessa. Bisogna ammetterlo: gli spettacoli di ANAGOOR devono essere assimilati attraverso riflessioni profonde, che vanno al di là dell’eleganza scenica, bisogna cioè ripescare necessariamente nei substrati culturali personali e sociali, bisogna recuperare la fantasia che, spesso, il pubblico spegne anche davanti ad una forma artistica, bisogna spalancare le orecchie e gli occhi e assorbire il contenuto mistico di queste produzioni. La scena ripresenta la copia de “La Tempesta” di Giorgione, pittore veneto,

la cui poetica e il cui mistero sono stati analizzati nello spettacolo RIVELAZIONE. Si ripresenta, qui, incombente, portando in scena la Natura impressa sulla tela, con la sua forza terribile e l’assenza dell’uomo che cerca di dominarla costruendo abitazioni e ponti. Questa natura verrà ricoperta, pian piano, nel corso dello spettacolo, da vernice verde, da lunghe e larghe pennellate che copriranno la bellezza del dipinto.
I livelli di analisi di un tale spettacolo sono molteplici e profondissimi: non basta una semplice osservazione del momento dialogato e dell’azione tra i due personaggi in scena.
La compagnia recupera, infatti, numerosi riferimenti letterari e artistici importanti, partendo dal microcosmo originario e regionale, ossia il Veneto, lingua compresa, per arrivare ad approfondimenti universali attraverso l’apporto dell’opera di artisti inseriti e citati nello spettacolo, dalla valenza internazionale.
Partendo dall’osservazione della natura che incombe sull’uomo, grazie al dipinto di Giorgione, i due personaggi dialogano attraverso le parole del poeta Andrea Zanzotto, la cui produzione è prolifica e, pertanto, è evidente che la compagnia abbia esaminato con accuratezza testi e opere affinché si potessero inserire in un dialogo coerente che parlasse, in fondo, dell’umanità.
Adam ed Eva sono i protagonisti, ripercorrendo un discorso filosofico e di riflessione che non si àncora mai al concetto meramente religioso: l’osservazione dell’umanità attraverso la natura dà un esito negativo. Questa umanità non riesce a produrre arte, la poesia si disperde, si lacera, si frantuma, la parola è annullata. Il dipinto si copre. Se la natura è luogo di trasfigurazione immaginifica che descriveva D’Annunzio nella sua idea di panismo, sottolineando il supporto che essa dà costantemente all’artista per creare, oggi la natura è coperta, distrutta, uccisa. Come farà il poeta/uomo a raccontare la bellezza?
L’intero spettacolo sembra essere scandito da un’epifania iniziale, violenta e brutale, affidata alle parole del dialetto veneto, che ricorda la creazione del mondo e dell’uomo: la compagnia descrive questo momento attraverso un “Recitativo veneziano” contenuto nella raccolta “Filò” di Zanzotto. Attraverso i suoi versi, il poeta parla di decadenza, di distruzione, di una città, Venezia, di una lingua, il dialetto, di una Natura abbandonata e coperta. In Zanzotto, infatti, sono numerosi i riferimenti alla vita provinciale e campagnola, e proprio in questa raccolta ritroviamo il riferimento a “quello della Ginestra”, il nostro Leopardi e le sue riflessioni sulla Natura malvagia.
In questo spettacolo la Natura sembra morire sotto le mani degli uomini, o meglio dimenticata da essi, in un circolo vizioso che inibisce la produzione poetica, l’artista e la parola.
Il mondo è a pezzi perché anche l’artista è frammentato e sganciato da quel contatto con il mondo esterno, osmotico dannunziano, soprattutto primitivo.
Ritornano i versi tratti da “Meteo”, il “ricchissimo nihil”, in forma ossimorica, ciò che permane sotto un verde che copre tutto. Il verde non è genuino, non è naturale, è una pesante mano di vernice che copre tutto, nonostante il verde sia ricordo di un prato d’infanzia.
I due personaggi cominciano a spogliarsi a turno, la nudità dell’uomo Adam viene costretta a stendersi, come corpo morto, e a recitare i versi liberi, incalzanti, singhiozzanti, sincopati e surreali di Zanzotto.
La decadenza colpisce il primo uomo, l’artista si spoglia ma si stende, muore lentamente, declamando versi in cui il poeta continua a sottolineare il suo “Fuisse”, la perdita della lingua originaria, radice solida del passato e della cultura, sradicata anch’essa.
Il racconto scenico sembra raggiungere lo “sparagmòs” tragico nel momento in cui viene recitata “1944: FAIER”, testo tratto dalle Prose di Zanzotto, il cui riferimento agli orrori della seconda Guerra Mondiale sono evidenti, per poi raggiungere l’apice con la lettera di Gunther Anders, il pilota pentito di Hiroshima, che scrive all’aviatore Claude Eatherly,  citato da Zanzotto nella sua poesia “Eatherly”, anch’essa riportata in scena e contenuta nella raccolta IX ECLOGHE: si ripete il confronto tra i verbi latini ducĕre- docēre, condurre, spingere avanti, anche in accezione negativa, e insegnare, come un contrasto tra l’andare avanti a tutti i costi o il fermarsi a riflettere per produrre.
Il titolo di questo spettacolo si ispira sicuramente alla raccolta di Zanzotto, che a sua volta fa riferimento alle Bucoliche di Virgilio, autore e personaggio storico profondamente amato dalla compagnia ANAGOOR: anche l’autore latino compone dieci ecloghe o componimenti pastorali, ambientati nella Natura, così come Zanzotto riprende la suddivisione e la tipologia, sebbene in epoca e contesto completamente differenti, contando nove ecloghe. Entrambi gli autori riportano il concetto di Natura e di sradicamento politico, culturale e artistico che ANAGOOR ripresenta in scena con un’ECLOGA inesistente nella storia letteraria, perché undicesima appunto.
Lo spettacolo si conclude aprendo uno spiraglio di speranza: un’immagine femminile che allatta un bambino. L’attrice si siede ai piedi della tela ormai oscurata, coperta, il cui paesaggio è invisibile. Allatta e canta una nenia in veneto. La speranza è possibile, la rinascita del Verde è possibile, la possibilità che la poesia riesca non solo a sopravvivere, ma soprattutto a radicarsi e a crescere. Anche Leopardi, in effetti, mostrò uno spiraglio di speranza rivolgendosi alla solidarietà tra uomini contro la Natura distruttrice.
Come è evidente in questo spettacolo, così come negli altri firmati da ANAGOOR, esiste un complicato intreccio di informazioni e di studi che sostengono l’intero racconto scenico. Questa compagnia costruisce una drammaturgia solidamente strutturata attraverso lunghi studi, storico-artistici e letterari. Ogni spettacolo di ANAGOOR rappresenta un piccolo saggio drammaturgico da cui estrapolare studi complessi e variegati. Tenere insieme elementi di natura diversa, pur seguendo un filo conduttore solido perché non viene mai perduto nel corso degli spettacoli, riversando tutto nello scrigno-contenitore che è il palcoscenico, appare ogni volta un’operazione sapiente, elegante e di spessore culturale.
In scena Marco Menegoni e Leida Kreider, diretti dalla regia di Simone Derai, autore della drammaturgia con Lisa Gasparotto, accompagnati dalla rievocazione dell’opera WOOD #12 A Z, per concessione di Francesco De Grandi.

Foto Luciano Rossetti

ECLOGA XI
TEATRO NUOVO NAPOLI
22-23 OTTOBRE 2022

Anagoor 2022
coproduzione Centrale Fies, Fondazione Teatro Donizetti Bergamo,
ERT / Teatro Nazionale,
TPE - Teatro Piemonte Europa / Festival delle Colline Torinesi,
Operaestate Festival Veneto
presentano
           Ecloga XI
un omaggio presuntuoso alla grande ombra di Andrea Zanzotto
testi di Andrea Zanzotto
           con Leda Kreider e Marco Menegoni
           musiche e sound design Mauro Martinuz
drammaturgia Simone Derai, Lisa Gasparotto
            regia, scene, luci Simone Derai
            Voce del Recitativo Veneziano Luca Altavilla
           La scena ospita un’evocazione dell’opera Wood #12 A Z
per gentile concessione di Francesco De Grandi
realizzazioni Luisa Fabris
immagine promozionale realizzata da Giacomo Carmagnola
           organizzazione Annalisa Grisi
amministrazione Maria Grazia Tonon
management e distribuzione Michele Mele
Staff Centrale Fies Marco Burchini, Vania Lorenzi, Sara Ischia