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In medias res. Come dicevano i latini per raccontare questa tredicesima edizione del Festival “Testimonianze Ricerca Azioni”, che più che un festival è appunto una sorta di narrazione con al suo nucleo il Teatro, è opportuno partire dal centro del suo operare. Un centro da cui si irradiano le riflessioni di Teatro Akropolis che lo organizza, e quindi dei suoi Direttori Artistici David Beronio e Clemente Tafuri, e che ne alimenta continuativamente le suggestioni, il loro modo di intendere la cosiddetta “Arte drammatica”. Questo centro è il “mistero del Teatro”, il mistero cioè del rapporto tra la vita e la sua rappresentazione, cioè tra rappresentazione e conoscenza che ne consegue, una conoscenza che è essenzialmente un processo e non l'imitazione di un oggetto. Una conoscenza estetica che nasce dunque da un comporre, da un mettere assieme gli elementi dell'esistenza che continuamente fluisce ed il cui esito è sempre qualcosa di più della semplice somma di quegli stessi elementi. È dunque, più che una conoscenza, una sapienza  che, come sappiamo, si è arricchita e si arricchisce di molti e importanti contributi teoretici nel solco della moderna, e sempre più attuale, interpretazione del pensiero di Nietzche, inaugurata da Giorgio Colli e proseguita negli studi di Carlo Sini. Da quest'ultimo in particolare giunge uno stimolo assai suggestivo riassunto nella affascinante definizione di “Foglio-Mondo”.

In brevissima sintesi: se anche fosse possibile riprodurre il mondo in tutti i suoi particolari quella riproduzione non sarebbe in sé conoscenza del mondo, in quanto la conoscenza sta nel processo di rappresentazione e in chi questo processo interpreta.
Conoscere dunque come comporre è stato detto, conoscenza cioè come composizione (montaggio), e dunque quale luogo è più coerente con questo 'modo' se non il Teatro in cui la conoscenza non si 'conosce', mi si consenta il paradosso, ma si incarna nella suggestione di un Dioniso dio inconoscibile della conoscenza, o meglio, della sapienza.
Tramite e testimone di tutto, il trattino del “Foglio-Mondo”, è dunque il corpo, e, qui, il corpo dell'attore che diventa la porta attraverso la quale quel flusso universale e irriducibile su cui galleggia l'umanità, irrompe e prende la scena secondo le singolari forme storiche che quel corpo di attore, in esperienze e psicologia, storicamente ha, come un liquido che riempie una coppa secondo le forme di quella stessa coppa.
Queste le considerazioni emerse, da ciascuno degli intervenuti, nell'interessante dibattito “Foglio-Mondo. Dialoghi Transdisciplinari” in collaborazione con “Mechrì-Laboratorio di Filosofia e cultura” di Milano, condotto da David Beronio, e che ha coinvolto Carlo Sini, Florinda Cambria, fondatori di Mechri, insieme ad Antonio Attisani e Tommaso di Dio, cui abbiamo assistito giovedì 11 novembre (da qui la “metà dell'opera”) e le cui suggestive indicazioni ho cercato di sintetizzare in quanto utili ad inquadrare meglio il senso complessivo dell'evento di cui scriviamo.
Possiamo così, con maggiore consapevolezza, tornare ora al principio, e cioè alla prima assoluta del nuovo spettacolo di Teatro Akropolis, tornato finalmente nella sua storica sede al termine di una lunga ristrutturazione.:

APOCATASTASI
Sospensione del tempo e della Storia, il ritorno inevitabile alle origini immutabili, irriducibili e per questo eterne della umanità degli uomini e delle donne. Se la storia è l'aspro 'rumore' del logos che regola il doloroso e tragico processo della nostra determinazione, della nostra separazione e della nostra identificazione come suoi (della Storia) oggetti, o meglio suoi passivi soggetti, la sua scaturigine è silenzio, ed il ritornare ad essa è musica. Due figure nello spazio ricompongono dunque un tempo 'altro', più autentico, che ci appartiene ma che abbiamo dimenticato. Citando Giorgio Colli i due drammaturghi ci dicono dunque che “il presente non esiste” ma tutto si muove al di là e altrove rispetto alla alienazione in cui siamo imprigionati ma che possiamo forse contrastare. Una drammaturgia di corpi che non vogliono narrare ma bensì squarciare il velo che offusca il nostro sguardo. Lontano da quella primigenea consapevolezza, infatti, l'uomo perde sé stesso e gli esiti che la storia produce anche nel confuso e indistinto oggi ne sono, purtroppo, la tragica testimonianza. Un transito scenico ben padroneggiato nella sua intrinseca difficoltà e anche nella sua arcaica oscurità che man mano si illumina. Un transito scenico che ci dice di un percorso sempre più consapevole e continuamente perfezionato, ma soprattutto capace man mano di arricchirsi e di arricchire lo spettatore, indotto ad un precipitare nella luce che quello stesso buio è in grado di propagare solo attraverso la scena. Molto bella la musica scritta appositamente dal Maestro Pietro Borgonovo ed estremamente efficace, come una guida su un sentiero impervio, la sua esecuzione in scena da parte del bravissimo Mademi Quartet che lo stesso Borgonovo dirige con efficacia dalle quinte. È una doppia partitura capace per questo di ben interpretare le dinamiche sceniche che alternano, nella relazione tra i corpi, momenti di fusione panica con momenti di contrapposizione anche violenta. Da una parte dunque la musica composta per e sulla drammaturgia, frazionata e spezzata nel suo andamento ritmico, dall'altra la musica barocca di  Händel che invece recupera nella reiterazione tipica dei temi musicali la suggestione dell'eterno ritorno, con un andamento depressivo-riflessivo che ricostruisce oltre  il segno storico, oltre l'orpello il cadere dello sguardo dell'uomo nel vuoto del tempo. Un atteggiamento che riporta alla mente il famoso “pensatore” di Auguste Rodin. Si viene così a creare una sorta di corpo a corpo tra performer e musica, in una alternanza di concordia e  di contrasto che accompagna con coerenza il movimento narrativo dal suo principio alla sua fine. Intense le due interpreti i cui visi nascosti dai capelli lasciano immaginare, con paradossale rapidità mimica, il transito di innumerevoli espressioni. Per la prima volta, in scena, ci sono solo due donne, forse a suggerirci quel momento originario e fondativo, da cui siamo partiti e verso cui siamo diretti ed in cui tutto, anche i generi, era confuso e ridotto ad unità.
Al Teatro Akropolis di Genova Sestri Ponente il 4 Novembre, replica l'8 novembre. Molto applaudita.
APOCATASTASI. Regia Clemente Tafuri, David Beronio. Con Roberta Campi, Giulia Franzone | Musiche originali Pietro Borgonovo eseguite dal vivo dal Mademi Quartet con Silvia Manfredi, Eleonora De Lapi, Giulia Magnanego e Giorgia Mammi al clarinetto. Produzione Teatro Akropolis. Coproduzione GOG – Giovine Orchestra Genovese. Prima assoluta.

Foto Clemente Tafuri