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«Stifle the imagination and lose one of the greatest assets of humanity» - Soffoca l’immaginazione e perderai una delle più grandi risorse dell’umanità - così dichiarava la scrittrice statunitense Johnna Adams durante un’intervista su Contemporary American Theater Festival nel 2015. Secondo la Adams, solo dando libero sfogo all’immaginazione l’essere umano è in grado di vivere a pieno la propria vita, scoprendo il senso che più lo appaga e riuscendo ad evadere da una realtà che non comprende e non sente propria.  Nel suo testo teatrale World Builders, affronta questa tematica provando a scardinare i confini tra immaginazione, follia e “normalità”, raccontando la vicenda di Whitney e Max, due ragazzi affetti da disturbo schizoide di personalità, che vivono nel profondo delle loro realtà immaginarie. Per quanto siano legati a questi due mondi, sono consapevoli di doversene liberare per essere reintegrati nella società; così partecipano a una sperimentazione clinica di farmaci che

dovrebbe fare sparire queste visioni per sempre. Ma chi stabilisce quale sia la normalità? Se i mondi che hanno creato li rendono felici, perchè dovrebbero distruggerli? Perchè qualcun’altro dovrebbe scegliere per loro?
Riccardo D’Alessandro, regista e volto noto della televisione, si è assunto la responsabilità di mettere in scena quest’opera complessa, ma soprattutto vulnerabile, non solo per le tematiche affrontate quanto per le domande che solleva.
Una regia assolutamente non invasiva e rispettosa del testo, che lascia ampio spazio agli attori in scena di poter raccontare i loro personaggi, le peculiarità che contraddistinguono la loro schizofrenia e la complessità del loro rapporto.
L’ambientazione è sempre la stessa, asettica come la stanza di un reparto ospedaliero. Il luogo abitato da Whitney e Max è uno spazio razionale, ordinato secondo  un rigore geometrico che forse vuole rimandare ai costrutti sociali e a quella normalità che tanto li spaventa.
Al centro della scena, un flacone di pillole dentro una teca di vetro divide il palco in due spazi speculari occupati da pochi oggetti.
I due ambienti si distinguono ulteriormente grazie alla presenza di due cornici illuminate al neon, di fronte alle quali i ragazzi si fermano perdendosi nei loro mondi estremamente diversi.
Sabrina Martina attraverso una recitazione serrata e senza pause, con un flusso continuo di parole ci mostra perfettamente la personalità narcisistica di Whitney, quanto la complessità del suo mondo: una distopia futuristica, piena di galassie, pianeti, personaggi fantastici, alieni colonizzatori e navicelle spaziali.
Tutto l’opposto di Max, interpretato da Andrea Lintozzi, ragazzo asociale e introverso, il cui mondo è una buca profondissima, un bunker in cemento armato nel quale sono rinchiuse delle donne lasciate lì a morire.
La distanza apparente che sembra dividere i loro mondi si affievolisce quando i medicinali iniziano a fare effetto. I due ragazzi cominciano ad avvicinarsi, si raccontano, si rincorrono, ballano insieme e sentono nascere per la prima volta qualcosa per l’altro: «Proprio adesso in questo istante, sotto l’effetto delle pillole ti amo veramente».
Questa nuova condizione li disorienta, basterà questo amore nato durante la terapia a sopperire alla scomparsa dei loro mondi? La felicità e la realtà imposte da altri riusciranno a colmare le loro mancanze?
Un finale che lascia l’amaro in bocca su cui però preferiamo non anticipare troppo visto che lo spettacolo è ancora in scena fino a stasera al Teatro Lo Spazio di Roma e vale assolutamente la pena andarlo a vedere.