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Un ulteriore confortante segnale del positivo ritorno alla drammaturgia del testo, in cui cioè è il testo l'architettura portante ed il primo stimolo creativo della rappresentazione teatrale, dentro il quale si completa e trova il suo senso dando a sua volta completezza e profondità tridimensionale ad uno spettacolo per sua natura collettivo e multiplo, di molti e per molti. Non si tratta solo di un fatto formale, in questo specifico lavoro direi particolarmente, in quanto come si dice il medium è anche il messaggio, ma in effetti spesso il testo, la scrittura finalizzata ad assumere la sua inevitabile dimensione scenica, consente di intercettare più angolature del reale, assumendone e traslandone, oltre alla dimensione più specificatamente psicologica ed esistenziale, anche la sua dimensione sociologica e storica e quindi in fondo la sua direi necessaria declinazione politica. In effetti la bella scrittura drammaturgica di Alessandra Schiavoni delinea e rappresenta il mondo nel suo oggi quasi disegnandone i margini sui vuoti che, come in un vecchio gioco enigmistico, costituiscono il qui e ora di una esistenza dimenticata, di un esserci quasi toponomastico, mi si perdoni il paradosso, della società odierna, italiana non,

sotto il dominio inarrestabile del denaro e del profitto diventati valori unici e sovrabbondanti.
Ma non solo, purtroppo, una Società che non sa neanche più riconoscere chi si è impegnato con onestà e volontà e che, al contrario, premia chi alimenta la corruzione, a partire dalla politica, e chi alla corruzione si adegua e sottomette per la sua scalata sociale.
Dice Dacia Maraini che il teatro è un fenomeno verticale, ed in effetti il presente contingente di questa scrittura scenica apre uno squarcio che ci mostra quasi con ferocia il paradigma, fattosi  supposta evidenza universale, che tutti sembra dominarci.
Un giovane uomo rimasto senza lavoro, un Riccardo qualunque che perde man mano reddito, ruolo e posizione nella Società diventando, tornato in casa della mamma vedova e pensionata (quello che senza pudore i politici definiscono “Welfare Familiare”), per sé e per gli altri praticamente un accidente invisibile, oltre la disperazione.
E se questo è l'aspetto più immediatamente e dolorosamente politico dello spettacolo, il suo procedere si trasfigura in un grottesco percorso psicologico di sovrapposizione, sorta di inaspettata iniziazione alla ricerca e alla scoperta cioè di un escamotage disperato per recuperare una identità e con questa una 'vita'.
Quale che sia o sarà questa identità, e il modo per conquistarla, non importa se è la paradossale chiave per aprire di nuovo una porta sul mondo.
Una drammaturgia dunque dai significati molteplici, come un appartamento dalle molte porte alcune delle quali in attesa di essere aperte da noi spettatori, che mantiene però una profonda coerenza significativa che non fa sconti ad una realtà che spesso siamo indotti a mistificare se non a dimenticare.
Del resto, ricorda la stessa drammaturga nella presentazione del suo lavoro, i numeri dei suicidi da disperazione e perdita di ruolo e lavoro, in Italia ed in Europa, qualcosa saranno pure chiamati a dirci.
D'altra parte l'odierno e sfrenato individualismo egocentrato, riflesso psicologico ed esistenziale del liberismo economico, spesso impedisce anche forme di identificazione profonda con questo tipo di storie, quasi appartenessero sempre ad altri e dunque non ci riguardassero, limitando così anche la possibilità e la volontà di porvi veramente un qualche rimedio.
Il teatro, molto più di altri luoghi della mente, si dimostra dunque ancora una volta il veicolo più adatto allo scoprire e svelare, e qui di ciò troviamo un esempio efficace.
Ironia e grottesco, comico e tragico si mescolano ad immagine e rappresentazione della vita che ne è sempre piena e li distribuisce senza risparmio.
Un testo interessante dunque ed una messa in scena, a cura della stessa drammaturga, semplice nelle sue linee scenografiche, una poltrona-prigione simbolo di uno specifico stare nell'esistenza, ma piuttosto efficace.
Un monologo pluridimensionale e pluridimensionato che Andrea Zanacchi interpreta con bravura, dimostrando buone qualità .
Ultimo spettacolo della rassegna “Progetto da salotto” curato con buone scelte da Alessandra Frabetti, nella piccola sala Diana del Teatro Garage di Genova il 17 dicembre in unica rappresentazione. Dal pubblico ha avuto qui un buon riscontro.
Scritto e diretto da Alessandra Schiavoni. Con Andrea Zanacchi.
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