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L’abbondanza e la regolarità della produzione teatrale di Emma Dante consentono a chi riflette su di essa e sul linguaggio di questa regista di registrare scarti, variazioni minime, innovazioni, riprese e soprattutto una complessiva evoluzione di senso che sembra di spettacolo in spettacolo più evidente. Si tratta di un lento percorso di ricerca sul senso della vita e di acquisizione, anche dolorosa, di saggezza e di adulta consapevolezza, nonché del dispiegarsi del necessario corrispettivo formale. Appare paradigmatico in questo senso l’ultimo lavoro che ha debuttato in prima nazionale il 13 Gennaio nella Sala Grande del Teatro Biondo di Palermo ed ha replicato fino al 22: si tratta de “Il tango delle capinere” con Sabino Civilleri e Manuela lo Sicco. Un piccolo gioiello teatrale che sviluppa e approfondisce, a qualche anno di distanza, l’intuizione drammaturgica contenuta nello spettacolo/frammento “Ballarini” contenuto nella cosiddetta “Trilogia degli occhiali”. Non è il caso di soffermarsi sul meccanismo drammaturgico, che del resto è semplicissimo e che è bene lasciar scoprire allo spettatore, laddove Civilleri e Lo Sicco dimostrano, ancora una volta, una solida struttura attorale e una

capacità, intrinseca e quasi automatica, di incarnare con sapienza e leggerezza la poetica della Dante (e d’altro canto fanno parte della sua compagnia sin dal suo primo spettacolo rilevante ovvero Mpalermu).
Appare necessario invece riflettere su due altri aspetti di questo spettacolo che segnano uno scarto, per quanto leggero, nel percorso creativo di questa regista. Anzitutto l’equilibrio conquistato, con pienezza e un buon livello di stabilità, tra l’urgenza della riflessione e la sicura leggerezza del segno registico. Il tema è la meditazione sulla sostanza del tempo che si concretizza e rivela nella forma irripetibile e fulminea delle nostre vite: una vita intera non è molto più di un giro di tango in una milonga. Ed è un tema che si fa corpo, coppia di corpi, emozione, azione scenica nel dispiegarsi di una storia d’amore qualunque, un amore semplice, basico: la dichiarazione, il fidanzamento, il matrimonio ovviamente da favola, la gioia e la fatica dei figli, la faticosa tenerezza del sopportarsi e sostenersi, la passione spensierata, colorata, innocente per discoteche, balere, milonghe, gare di tango e ancora la fatica della quotidianità, gli acciacchi, le medicine e le malattie, il peso sempre più insostenibile dell’invecchiare, la morte impensabile e davvero impossibile da affrontare da soli. Saggezza intrisa di empatia, di verità e di leggerezza. Saggezza, pensiero e un disegno scenico lieve – ecco il secondo elemento su cui riflettere - che lascia vuota la scena e la punteggia con rarefatte, eleganti pennellate di colore, con semplicissimi oggetti di scena (due bauli, un bambolotto, dei palloncini, un vecchio vestito da sposa e gli abiti di una vita), con variazioni di ritmo, movimenti che sfiorano la danza e rapidi tagli prospettici. Similmente può dirsi delle musiche: non definiscono una colonna sonora, ma sono anch’esse oggetti di scena. Gianni Morandi e Mina, un carillon e Nilla Pizzi, Luigi Tenco e Rita Pavone, Edoardo Vianello e De Gregori, musiche e suoni di un’Italia, nata dopo la seconda guerra mondiale (i nonni e i bisnonni di oggi), che - forse - è stata felice perché ha avuto un futuro possibile da costruire, una possibilità reale di crescere, di andare avanti, di lottare vedendo concretizzarsi l’esito di battaglie e sacrifici. Sarebbe facile indugiare a questo punto in una lettura di questo spettacolo in chiave semplicisticamente socio-politica e forse non sarebbe nemmeno troppo sbagliata. Ma non è di questo che si tratta in questo spettacolo, non solo di questo. Quello che sembra interessi la regista non è il contesto sociopolitico in cui si svolge la vicenda della coppia (assai probabilmente palermitana) quanto la dimensione di saggezza e di verità che l’accettazione, amorosa e solidale, della reciproca fragilità implica nella vicenda ed è capace di comunicare al pubblico che ne resta incantato. Un’accettazione della reciproca, umanissima fragilità che è amore certo, ma è anche sapienza vera e malgrado tutto resta l’unica strada disponibile per affrontare, se non vincere, la morte.

Tango delle capinere
di Emma Dante
regia Emma Dante
con Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco
luci Cristian Zucaro
produzione Sud Costa Occidentale
in coproduzione con Emilia Romagna Teatro ERT - Teatro Nazionale / Teatro di Roma - Teatro Nazionale / Teatro Biondo Palermo / Carnezzeria / Théâtre des 13 vents, Centre Dramatique National Montpellier / MA Scène Nationale - Pays de Montbéliard.
Crediti fotografici: Carmine Maringola.