Pin It

Tre generazioni di donne contemporaneamente in scena, un filo narrativo e sentimentale che trascende il tempo, diluendo passato e futuro in un’unica, quasi onirica, dimensione. Carol è la madre di Anna che, a sua volta, è madre di Bonnie e, simultaneamente, abitano il palco. Questo è delimitato, sul fondo, da una parete su cui si aprono tre porte e sulla quale vengono proiettate immagini non superficialmente evocative; e, in proscenio, da un prato erboso; ed è suddiviso implicitamente – non vi sono “barriere” così da garantire coerente fluidità – in aree, corrispondente ciascuna a una delle donne. A sinistra del palco abita Carol, la cui vicenda va dal 1972 – data del primo tentativo di suicidio – fino alla morte nel 1993; al centro c’è Anna, osservata nel periodo che va dal 1999 fino al 2004; e, a destra, Bonnie, proiettata negli anni fra 2033 e 2041. Tre donne accomunate dal demone dell’inquietudine e dell’auto-annientamento, gene avariato che la più giovane, Bonnie, decide fermamente di

impedirsi di trasmettere a una nuova generazione, optando nel finale per una sterilizzazione che auspica risolutiva – non per sé, fatalmente predisposta all’irrequietezza e alla solitudine – ma per spezzare una sorta di meccanicistico incantesimo maligno.
Il play, scritto con rigorosa ed empatica maestria dalla trentasettenne drammaturga britannica Alice Birch – autrice per il teatro ma anche sceneggiatrice per cinema e serie Tv –, è un precisissimo meccanismo che riesce a muovere le vicende delle tre donne senza alcuna soluzione di continuità, facendo scivolare le battute da un’area all’altra del palcoscenico ovvero inserendo fugaci ma pregnanti slittamenti di senso o, ancora, utilizzando parole e metafore ricorrenti – si parla di “pesci” e “ami” proditoriamente tesi. Accorgimenti che non sono semplici espedienti teatrali bensì drammaturgica esplicitazione di un’idea artistica proteiforme e potente che la regia abilmente asseconda e arricchisce concentrandosi anche su particolari minimi eppure sonori, quali le discrete ma significative violazioni delle invisibili barriere temporali che dividono le tre aree del palcoscenico.
L’abilità di Birch, poi, è evidente nella costruzione dei personaggi, fra i quali pare non esistere – com’è consueto – una rigida gerarchia, bensì un condiviso sentimento di irrimediabile solitudine: ecco, allora, che, accanto alle tre donne si muovono creature – mariti, amanti, cognate, nipoti, colleghi o semplici passanti – analogamente incapaci di riconoscere un senso granitico nella propria esistenza.
Anatomia di un suicidio non è dunque soltanto la narrazione simultanea della lotta con una fatale attrazione per la morte da parte di tre donne – Carol vive finché la figlia Anna non è in grado di cavarsela da sola mentre questa, passata attraverso l’eroina e l’elettroshock, cede proprio dopo essere diventata madre di Bonnie, l’unica che, determinata, apparentemente sconfigge il demone ereditato – ma il tentativo di ritrarre l’atavico, quotidiano duello cui, per la semplice realtà di essere venuti al mondo, sono sfidati gli esseri umani. Un’indagine sui modi, più o meno dolorosi, escogitati per sopravvivere al destino – genetico e non provvidenziale – ovvero sulle consapevoli rese alla sua esiziale fisionomia.
Un play preciso e concentrato, stratificato e pervaso da schietta ed empatica umanità, qualità trasferite pure nell’allestimento creato da lacasadargilla e interpretato da un cast magnificamente coinvolto e coinvolgente.    

Testo di Alice Birch. Traduzione di Margherita Mauro. Un progetto di lacasadargilla. Regia di Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni. Scene di Marco Rossi. Costumi di Anna Missaglia. Disegno luci di Luigi Biondi. Paesaggi musicali di Alessandro Ferroni. Disegno del suono di Pasquale Citera. Disegno video e cura dei contenuti di Maddalena Parise. Drammaturgia del movimento di Marta Ciappina. Con Caterina Carpio, Marco Cavalcoli, Lorenzo Frediani, Tania Garribba, Fortunato Leccese, Anna Mallamaci, Alice Palazzi, Federica Rosellini, Camilla Semino Favro, Petra Valentini, Francesco Villano e con Anita Leon Franceschi. Prod.: Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

Visto al Teatro Grassi di Milano il 5 marzo 2023

Foto di Masiar Pasquali