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Un piccolo gioiellino della produzione letteraria di Alan Bennet, forse il meno immediato per contenuto, ma diretto e quasi tagliente come rivela la sua matrice originaria, il monologo per la tv. Lo porta in scena Arturo Cirillo – ne è anche il regista - fino al 7 maggio al Teatro Elfo Puccini di Milano (corso Buenos Aires 33), con l’intento di preservare la perfetta calibratura del testo (e la riuscita scenografia scarna ma tecnologica fa buon gioco all’obiettivo). L’autore inglese sa tenere le distanze dalle questioni politiche, etiche, religiose insite nelle tematiche che tratta, gliene sta a cuore una sola, l’umanità dei suoi personaggi. «Bennett non giudica, non condanna, non assolve, non risolve – scrive Cirillo - ma semplicemente osserva questi suoi fragili e vibranti personaggi come si osserverebbero le cose della natura, con le sue leggi e le sue eccezioni, le sue regole e le sue devianze». E allora Wilfred è un uomo semplice con un lavoro semplice e una visione semplice delle piccole cose quotidiane. Una quiete

difesa con fierezza, una rispettabilità agli occhi dei suoi superiori che sconfina nell’innocenza naif. Quanto alle relazioni familiari, la diffidenza repulsiva a sue spese è davvero incomprensibile, al punto da simpatizzare per questo animo semplice, appunto, ma forse semplicemente sfortunato.
Bennet si palesa proprio qui nel suo estro. L’errore sta nel giudizio che in modo irresistibile siamo spinti ad affibbiare a ogni vissuto altrui che ci si presenti. E tale giudizio, anche quando è simpatetico, porta con sé l’errore. Wilfred si rivela per ciò che è, tanto naturale quanto inaccettabile. Ci spiazza con la sua banale normalità quanto mostruosa bonarietà.
Non va in scena il tribunale dei comportamenti umani, anche lo spettatore più moralista non può che restare interdetto di fronte all’universale enigma dell’umanità: il peccato e il peccatore sono entità distinte? Condannare il primo e assolvere il secondo, proprio per via della sua umanità, non equivale a condonare tout court il primo?
La ragione sa forse ben mettere ordine e chiarezza sulla questione, ma Bennet parla al nostro animo grazie al canale di progressiva empatia che costruisce tra noi e Wilfred. Che ne è di questa vicinanza quando il male nella sua ineluttabile oggettività si palesa ai nostri occhi, senza che il suo autore abbia alcunché di visibilmente mostruoso?
In un’ora di pièce, si dipana uno dei dilemmi che la contemporaneità ha ben chiaro: perché il male si insidia così bene negli animi mostrandosi come ineluttabilmente connaturato con la natura umana stessa. Senza scampo, senza comprensione eziologica. E’ lì, dentro di noi.
E poteva succedere a te.
Niente sconto della pena, solo drammatica consapevolezza filosofica.
Da non perdere.