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“Achille – studio sulla fragilità umana” è uno spettacolo interessante, complesso, delicato. La drammaturgia è insieme di Salvo Tringali e di Orazio Condorelli, in scena c’è Salvo Tringali, mentre la regia è curata da Condorelli. Le musiche sono composte ed eseguite in scena da Riccardo Leotta che si presta anche ad eseguire alcuni movimenti drammaturgicamente significativi. La voce fuori scena è di Denisa C. Sandru. Un lavoro interessante perché indaga, con leggerezza e dissimulata intelligenza un segmento importante della cultura contemporanea, il rapporto tra padri e figli maschi e, più in generale, il declino dei modelli maschili legati alla millenaria cultura patriarcale. Un declino di cui oggi si avverte chiaramente l’accadere nella società, nella vita delle persone, nelle relazioni, nella comunicazione pubblica, nella quotidianità un po’ di tutti, e che tuttavia stenta a configurarsi in una dimensione di concreta efficacia politica. Ed ancora: si tratta di uno spettacolo interessante perché, come è giusto, non attraversa quest’ambito di riflessione socio-politica e antropologica parlandone in astratto, ma raccontando, o meglio facendo vivere sul palcoscenico, una storia. La storia di un giovane

uomo italiano che scopre la sua dimensione paterna, vivendola a distanza, tramite l’uso di cellulari e dispositivi affini, con un figlio, concepito con nessuna consapevolezza e quasi casualmente con una giovane polacca, venuta anni prima in Italia per lavorare nel ristorante della sua famiglia e ritornata in Polonia dopo aver scoperto e dichiarato quella gravidanza e dopo la nascita de bambino. Quella giovane donna torna in Polonia per far crescere quel figlio e, a poco a poco, coinvolge il padre di quel figlio (ormai divenuto un bellissimo e grande diciottenne polacco) in un’esperienza effettiva e concreta di paternità, della propria singolare paternità. Un’esperienza reale e autentica, per quanto a distanza o sperimentata negli anni in brevi periodi di vacanza in Sicilia o in Polonia. Questa la storia e quasi non importa se e quanto sia autobiografica, quanto vi sia di necessaria invenzione o quanto sia ispirata dalla vita dell’artista che la porta in scena, la racconta, la attraversa, la incarna con delicatezza, con semplicità disarmante e, al contempo, senza nascondere la sua oggettiva complessità e tipicità. Da questo punto di vista è da notare come Tringali metta da parte l’aria da guascone con cui suole recitare per dar vita a un personaggio dalla figura più dimessa, auto-critica e auto-ironica. Occorre insomma immaginare una genitorialità consapevole e responsabile che accetta di viversi e dispiegarsi utilizzando cellulari e devices di ogni tipo, ma rassegnandosi anche al fatto che no, non ci si riesce fino in fondo, non ce la si fa a trovarsi a proprio agio perché non basta vedersi a distanza: ci vogliono gli abbracci, l’accoglienza della tenerezza e della fragilità, la quotidianità, ci vogliono le litigate ed è terribile dopo una litigata dover spegnere quel cellulare. La delicatezza è proprio in questo scarto, in questo non essere mai sazi di un rapporto che cresce come necessario ma non riesce mai (o ancora) a compiersi del tutto. Una storia complessa perché non è solo “una storia”, per quanto molto tipica e forse largamente autobiografica, ma perché gli artisti che hanno costruito lo spettacolo mostrano di essere consapevoli che una vicenda di tal genere abita veramente in una dimensione ricca e culturalmente stratificata della contemporaneità. E questa grande e multipla stratificazione culturale, con un gioco un po’ spericolato ma non gratuito, viene agganciata niente di meno che al mito greco del Pelide, giocando con il nome del ragazzo, Achille, di sua madre Teti e con quel singolare intreccio di forza e fragilità che, al contempo, lo salva e lo espone al male ed al dolore. Forse il mito di Achille non è il più adatto per riflettere sull’archetipo della paternità o, ma è anche vero che questa scelta finisce col supportare una dimensione di verità che è tanto più autentica quanto più si presenta come imperfetta, fragile, talvolta sbagliata e per molti versi paradossale. Visto a Noto il 6 maggio 2023, nel Teatro Comunale “Tina Di Lorenzo”.

ACHILLE
Drammaturgia di Salvatore Tringali e Orazio Condorelli. Con Salvatore Tringali. Musiche composte ed eseguite da Riccardo Leotta. Voce Over, Denisa C. Sandru. Regia di Orazio Condorelli. Disegno luci: Marcello Maggiore. Responsabile tecnico Giuseppe Bonfiglio. Responsabile video: Davide Catanese. Una coproduzione Codex Festival e Fondazione Teatro Tina Di Lorenzo.

Crediti fotografici: Bruno Castobello.