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Se è vero che all you need is love, è anche vero che l’amore spacca i cuori. Come poi esso si intrecci con relazioni, vita e psiche, è uno dei complessi misteri dell’esistenza su cui vari saperi o pensatori non sembrano voler smettere di aver a che fare. Anche il Teatro ha da dire la sua e questa volta lo fa attraverso “Prima”, la drammaturgia del francese Pascal Rambert, drammaturgo e coreografo di chiara fama, al Teatro Grassi di Milano (via Rovello, 2 fino al 28 maggio). Prima parte di una trilogia (sarà seguita da “Durante” e “Dopo”), porta in scena una compagnia di attori alle prese con la preparazione di uno spettacolo in costume, ispirato alla Battaglia di San Romano di Paolo Uccello. Gli intrecci amorosi dei protagonisti sono un puzzle che non vuole comporsi, si ama ma non si è riamati in uno scenario cupo di incomprensione e distanza. La scenografia quasi metafisica e i costumi essenziali (curati entrambi da Anaïs Romand) fanno il pari con la recitazione volutamente stonata, rapita nel pathos

strabordante del sentimento di cui siamo vittima, oppure congelata nell’indifferenza tagliente.
E se Rambert è solito partire dagli interpreti e poi farvi germogliare attorno il testo, l’operazione pare essere riuscita anche in questo caso, ognuno pare al posto giusto e al momento giusto. Dolorosamente.
Lo sfondo è un pessimismo senza se e senza ma, la solitudine avvolge i cuori nell’incomunicabilità e l’amore si mostra come forza disgregante se non addirittura distruttrice, che ci spinge a fare i conti con i cocci di noi stessi.
Un testo densissimo, lungo, senza fiato, non per tutti. Tutto il disorientamento dell’uomo moderno per l’angoscia di vivere in un mondo in cui neppure l’amore è cosa facile, risulta salvato solo dal teatro. Esso è ora il parallelo della vita ora il suo contrario, ora metafora della grande finzione che è l’esistenza, ora occasione unica per fare i conti con i demoni dentro.
Il vero punto interrogativo è l’animo umano, un delirio di proiezioni in cui l’altro è messo in ombra dalla propria luce senza mai mostrarsi veramente. Se le nostre relazioni sono davvero così, allora dobbiamo essere grati al teatro per questa sorta di psico-dramma collettivo che, chissà, possa essere catartico nei suoi disvelamenti.

Foto Masiar Pasquali