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Sarà l’atmosfera di declino che avvilisce questo Paese da ogni fronte lo si voglia osservare, sarà il tempo trascorso dall’ultimo suo film, il fatto è che  nelle sale cinematografiche in cui si proietta l’ “Habemus papam”  di Nanni Moretti, si registra il tutto esaurito.
Nostalgia di un discorso impertinente e profondo come ai tempi dei Girotondi? Di un messaggio di resistenza? O aspettativa di ritrovare una spinta più forte a cambiare, avendo in mente il recente “Caimano”, oggi così speranzosamente profetico?
Parte della matrice  dei contenuti critici ed emotivi di “Habemus Papam” si ritrova senza sforzo nella filmografia di Nanni Moretti “regista”: chi non s’è accorto che ne “La messa è finita” o nella “Stanza del figlio” è riconoscibile l’evoluzione di un Moretti-pensiero attratto dai problemi della fede e della psicologia del profondo? Gli stessi dei quali, più remotamente e con minor incisività, si era visto qualche indizio in “Sogni d’oro”, o “Bianca”.. Ma par di intuire che in quest’ultimo film il regista si sia avvalso anche, (per ribaltarli avendone meglio elaborato il senso profondo), di elementi maturati durante l’esperienza di attore in  “Caos calmo”. Intanto, allora, attraverso un ‘fare’ molto diverso da quello emotivamente vigile e strutturante della regia, essendo l’attività attoriale fondata su un diverso livello di coscienza, che implica tutta la fisicità della persona nel rappresentare e mettere in atto personaggi di cui non si possiede necessariamente per intero la paternità, ma se ne accolgono, interpretandole, le risonanze emotive.E se in “Caos calmo” Nanni Moretti (attore e sceneggiatore) rappresentava Pietro Paladini, alto funzionario di un’azienda in crisi che all’improvviso trascura le sue pressanti responsabilità professionali e opta per un accudimento senza limiti verso la figlia ( perché anestetizzato dallo shock di una brusca vedovanza e convinto di ritrovare sia identità che  sentimento attraverso quella dedizione), in “Habemus papam”  il regista Moretti alza quel tiro verso l’ autorità paterna di massimo calibro, investendola dello stesso turbamento di impotenza e regressione rispetto ad un compito pastorale immenso. Sembra sostenerlo nella critica antropologica che conduce una solida conoscenza della biografia e dell’opera teatrale di Karol Wojtyla (“Fratello del nostro Dio” e “Raggi di paternità” soprattutto). Anche in questo caso, il regista si insinua nell’intimità di una casta maschile, stavolta religiosa e non semplicemente dirigenziale, per provare a scandagliarne l’orizzonte e il senso con esiti sorprendenti: il conclave che Moretti raffigura, avvalendosi di una selezione formidabile di grandi vecchi della scena italiana, è fatto di un clero umanissimo, consapevole della delicatezza estrema dell’incarico papale e tutt’altro che ansioso di essere scelto a ricoprirlo. Il designato cardinale Melville (un commovente e grandissimo Michel Piccoli, strepitoso quanto segreto interprete del mandato teatrale del grande Papa scomparso) si accosta quasi inconsapevolmente al soglio pontificio che gli viene offerto, salvo un drammatico soprassalto al cospetto del balcone dal quale dovrebbe rivolgere la sua parola (estinta nella ripugnanza) al popolo della piazza in attesa. Con questi anziani dignitosi, rispettosi gli uni degli altri, pieni di carattere ma anche di acciacchi e farmaci per l’insonnia, Moretti può permettersi di prendere confidenza in forza di un ruolo laico ma autorevole: quello del Professor Brezzi, lo psicanalista più bravo sulla piazza, chiamato a confortare il cardinale Melville appena eletto Papa, dallo smarrimento che lo ha colto, al cospetto dell’immensa aspettativa che il mondo (così martoriato e in crisi) rivolge proprio a lui, forse troppo umano.. Eppure, si vedrà, come perfino lo specialista tanto accuratamente scelto, conservi nell’intimo una zona di incertezza e sbigottimento provocata da un vuoto affettivo apertosi nella sua esistenza per l’abbandono della moglie, psicanalista anche lei.
L’avvertimento confuso di un pericoloso varco esistenziale, spalancatosi per la latitanza del femminile nei confronti un compagno soverchiante, è lo stesso che in “Caos calmo”, ma con esiti opposti: lì un superstite indifferente, qui un compagno inconsolabile. Lasciato perché ineluttabilmente “il più bravo”, Brezzi è talmente proiettato mentalmente verso la compagna perduta (vedi, curiosamente,“La bottega dell’orefice” di Karol Wojtyla), da  arrivare ad affidare la serenità del  Santo Padre in incognito ( e ormai letteralmente in fuga dal Vaticano ) alle cure della sua ex consorte. Attribuendo con qualche (indicativa) perplessità alla signora (una Margherita Buy di strepitosa esattezza), una sorta di  bizzarro pallino : la coazione ad  aggiudicare a tutti i suoi pazienti un “deficit di accudimento”, al quale non sfuggirà neppure l’anziano e misterioso signore in paltoncino nero…Ma questa buffa riserva finale di Brezzi verso la metodologia della moglie, mentre sembra voler indurre a un sorriso, è un indizio a sua volta: lo psicanalista sta nascondendo (a cominciare da sé stesso) che  una misteriosa risonanza emotiva lo va connettendo, intanto, alla moglie, facendogli percepire la necessità di delegare proprio a lei, così stramba, la gestione di quel difficile frangente….Una resistenza ad ammettere, per difesa strutturata, il diritto femminile a un potere e un sapere di pari dignità? Un invincibile limite  culturale dei maschi italiani di ogni classe? Brezzi/Moretti  sta per indicare forse al prelato (nonchè a sé stesso) l’urgenza di un contatto con la propria anima junghiana?…
E non era, poi, questo deficit di accudimento  il grande spettro (leggi “senso di colpa”), che Pietro Paladini, nel film di Grimaldi, si affannava ad esorcizzare dedicando, in modo reattivo, tutto il suo tempo alla figlia? Suggerendo per giunta, allora, l’idea di  una specie di nota morettiana dolente, rimasta sul fondo di questi film dedicati alla incapacità di relazionarsi (ad ogni livello), con autenticità, portata etica e consistenza emotiva: una sorta di malattia del secolo genericamente liquidata come un diffuso deficit di comunicazione, di tendenza all’isolamento, di cui la dottoressa Brezzi avrebbe, forse, sommessamente, una miglior percezione… ….Tant’è che durante il primo incontro di Brezzi con Melville, che avviene in presenza dell’intero conclave (poiché la privacy è impensabile in situazioni simili), lo psicanalista apprende con costernazione che non gli sono consentite tutte le domande chiave della sua professione: né sesso, né sogni, né emozioni, né infanzia, né genitori…Nessuna comunicazione fondamentale  è praticabile….Curioso affondo, se si considera che il Teatro Rapsodico polacco al quale Wojtyla prestò tanta della sua energia era un teatro appassionatamente “di parola”. E che dire se si pensa che era anche un teatro clandestino durante l’occupazione nazista, “una protesta contro lo sterminio della cultura della nazione polacca sul suo stesso suolo”? Ecco che al terapeuta non resta che rivolgersi al porporato un po’ furtivamente, ma lealmente e  da uomo a uomo:- “Senta…..problemi con la fede?”. ‘Senta’ e non ‘Santità’ o ‘Eminenza’. ….Ineffabile Moretti: è una mossa da “carbonaro”, un azzardo ad aprire un clima vero di parola e resistenza, uno spazio, dicevamo, per l’anima  ….
Ma no, problemi di fede non ce ne sono: a smarrire il cardinale eletto è l’impossibilità ad assumersi la direzionalità di un pontificato che dovrebbe superare le contraddizioni, pacificare i conflitti, costruire la speranza, mentre tutto sembra aver perduto il contatto con il senso autentico delle cose e in declino inarrestabile…..
E mentre il Papa è in fuga, a restare prigioniero del Vaticano è proprio il terapeuta, che escogita un insolito intrattenimento per l’attempato collegio cardinalizio : un torneo di pallavolo durante il quale, insieme al trasporto giocoso e all’allegria, si vedono le personalità irrigidite e le forme senili  degli anziani prelati tradire un insospettato vigore,  in un rifiorire di slanci atletici e potenzialità di sprint, creduti  sepolti e ingessati sotto decenni di  tonache austere e ammaccature fisiche. Non si arriverà alla fine del torneo, con grandissimo disappunto di Brezzi, ma si comprende che a vincere sarebbe stata la squadra australiana, meno favorita fra tutte perché composta da soli  tre dignitari ecclesiastici: i più simpatici e vitali, però, pronti ad abbandonare il Vaticano non appena terminato il Conclave, in cerca di piccole gioie semplici come un cappuccino speciale, una brioche e una mostra d’arte, dispensando cordialità e sorrisi. Difficile, ancora una volta, trattenere un pensiero per l’atletico, limpido Papa Wojtyla, al ricordo del quale concorre in questi giorni la luminosa istantanea scattata giusto in Australia nel 1986 e rimasta famosa, in cui appare ancora giovanile, sguardo divertito in macchina e un Panda vivacissimo tra le braccia. Ed è certo Giovanni Paolo II  che imprime un segno indelebile sulla pellicola, quando vediamo il Papa neo eletto rifugiarsi, sempre in incognito e protetto dal paltoncino nero, all’interno del romano Teatro Valle: apparentemente in cerca di un’ispirazione e forse sulle tracce di un suo personalissimo passato. Felicemente immerso nel buio della platea, intanto che una compagnia di attori sta provando “Il gabbiano” di Cechov, Melville anticipa a memoria ogni battuta del testo e sembra lasciarsi andare ad una gran nostalgia: avrebbe voluto diventare, come la sua famosa sorella, un attore di teatro, ma l’Accademia non lo accettò come allievo, cambiando completamente il corso della sua vita. Un successivo colloquio con la dottoressa Brezzi favorirà l’incontro del misterioso paziente con  i due  figli della coppia, un maschietto e una femminuccia, mentre sono presi da un’ infantile diatriba. “Ma tu le picchiavi le bambine da piccolo?”, prorompe il piccolino mezzo sopraffatto dall’impertinenza della sorella, confidando nell’appoggio dell’anziano signore. “Eccerto”, risponde energicamente il Papa, senza ombra di dubbio.
Grande Moretti…Ci saremmo aspettati una trattativa compromissoria  tra un autorevole religioso e due bambini, invece no: i bimbi sono tre, l’adulto è in ascolto paritario e partecipe…(e qualcosa sembra restituire al vegliardo la memoria di un remota ingiustizia infantile, un tassello della sua capacità esperienziale rimossa…)
Ora: siccome abbastanza similmente il personaggio Paladini riconosceva al fratello la capacità, a lui mancata di respingere il modello paterno, per affermarsi come star della jet society, parrebbe che, in entrambi i casi qualcuno della stessa famiglia sia stato “più bravo”, sottraendo all’altro, almeno momentaneamente, una porzione di aura carismatica e di coraggio per raggiungere la propria autenticità. Brezzi, dicevamo, è a sua volta “il più bravo” e Karol Wojtyla (la sequenza d’apertura del film è una ripresa dei suoi funerali solenni) si staglia nel ricordo dei credenti con una grandezza difficile da uguagliare per qualsiasi successore. Il povero Melville, se non gli fosse scappato quell’ ”Eccerto” da fanciullino creativo, avrebbe rischiato di restare stritolato nella morsa dei ‘più bravi’, incalzato dal dilatarsi del senso di inadeguatezza e dalle pressioni schiaccianti dei cardinali, tentati affettuosamente da una caccia all’uomo.
Invece,  nel corso di una sequenza filmica magistrale, vero “coup de théatre”  e “de cinéma” insieme, ecco i cardinali raggiungere Melville in teatro a sorpresa, tutti e centosette, più le guardie svizzere, colmando ogni anfratto di platea e galleria, con un effetto di traboccante e soffocante cordialità che sa conferire a Melville il senso pieno di sé e al pubblico l’effetto di una divina e amorosa  rivelazione… In coerenza con il teatro di Wojtyla, in cui si assiste ripetutamente alla contrazione del tempo e dello spazio e sovente lo spazio è Dio?
Ricondotto inesorabilmente in San Pietro il cardinale prescelto ha ritrovato la sua identità di prelato e può rinunciare con lucida convinzione ad un mandato pastorale che, considerate le circostanze, non gli appartiene…
Per finire, qualche risonanza.
Primo: ad essere definita “Caos calmo” è esattamente una caccia all’uomo: ma una tipologia di caccia  che non finisce mai, in cui da un momento all’altro, perversamente, il cacciatore può trasformarsi in preda. Se i prelati del conclave fossero stati figure bramose di potere e Melville avesse fatto parte di una simile congerie umana, si sarebbe potuta configurare una situazione di caos calmo, qualora, appunto il cardinale prescelto e braccato avesse rifiutato l’incarico dopo averlo inseguito. Ma l’ipotesi viene superata in partenza, poiché nella lettura di Moretti né il candidato, né i suoi inseguitori si augurano un’elezione come traghettatori della Chiesa Cattolica. Lo stesso Brezzi  non sembra appartenere ad una specie umana predatoria: vi apparteneva, però, Paladini, e si direbbe qui che Moretti operi un superamento sia della tematica aggressiva che di quella regressiva (che accomunano le due caste maschili e i loro rappresentanti migliori) attraverso la conquista di una coscienza dei propri limiti, esercitata con forza e coraggio e dunque tutt’altro che remissivamente o regressivamente.
Secondo: se il nome di Melville nascondesse una metafora, saremmo in presenza di una coscienza analoga a quella dell’ autore di “Moby Dick”: capolavoro letterario e paradigmatico di un’epoca di transizione, in cui il capitano di una baleniera, gravato da un io inutilmente titanico, insegue a morte, con furore blasfemo, una gigantesca e rarissima creatura marina, provocando la distruzione  di ognuno. Un cardinale con questo nome e una coscienza simile dovrebbe essere propenso a rinunciare ad un obiettivo  tanto macroscopico da farsi autodistruttivo, arrendendosi  piuttosto al lato umano della sua natura….”Eccerto”…
Terzo: la protagonista del “Gabbiano” cechoviano, pur inseguendo un grande sogno d’amore e di celebrità, viene indicata non come l’ eroina di un grande romanzo, ma come “Il soggetto per un breve racconto”. Ciononostante ritrova la sua forza, la sua identità e la sua strada di attrice. Il testo (che Cechov scrisse mentre il suo interesse andava al cosiddetto teatro “decadente”) è attraversato da una fitta rete di simboli, alcuni forse ripresi da Nanni Moretti: “il verso rauco e singhiozzoso del gabbiano” per l’afonìa di Melville, il sipario vuoto scosso dal vento per la finestra benedetta deserta…
Quarto: è Papa Benedetto XVI che, pochissimi anni fa, ha voluto rendere omaggio alla tomba di Celestino V e non si può negare che questo film, contrariamente all’opinione della CEI (che pure recentemente ha avuto espressioni di profondissima consapevolezza antropologica), susciti un pensiero più riverente e partecipe nei confronti del compito complessissimo dell’ attuale Santo Padre.
Quinto: sebbene non sia di un riflusso vieppiù paternalista che si senta il bisogno (coppia Brezzi dimostra).