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Un solo personaggio in scena, con una sedia e le sue paure, le sue riflessioni, le sue dinamiche mentali che inseguono immagini e ricordi frammentari di una vita condizionata da un particolare aspetto mentale che gli fa percepire il mondo dal suo osservatorio speciale. Ci riferiamo al breve monologo (circa 50 minuti) “Quattro parole a quattro mosche” di Sebastiano Maurizio Alaimo proposto nella totale assenza di scenografia nello spazio della Sala Magma di Catania e che vede protagonista l’attore Sebastiano Mancuso (diplomato presso la scuola d’arte drammatica Umberto Spadaro del Teatro Stabile di Catania). L’autore, Sebastiano Maurizio Alaimo, psicologo e psicoterapeuta, specialista in Psicoterapia cognitivo - comportamentale e docente delle Università di Enna e Catania, mette a fuoco, in una storia proveniente dalla realtà quotidiana, le dinamiche interne del protagonista, ovvero il giovane Martino Mezzatesta che si ritrova, in pigiama, a disquisire sulla sua condizione, servendosi proprio della parola per esternare la sua umana condizione caratterizzata da un evidente rapporto conflittuale tra soggetto e mondo esterno. E proprio il mondo reale, quello che c’è fuori dalla stanza di Martino, dalla sua mente che insegue ricordi che riferisce di mosche e di sua madre, gli si mostra indifferente, tracciando un profondo solco tra i cosiddetti normali e chi, invece, non possiede caratteristiche ragionevoli. Ecco che il protagonista, Mezzatesta, si contorce tra le sue parole, alla ricerca di uno spiraglio sull’indicibile, si lascia andare in quelle che poi non sono più quattro parole, ma si raddoppiano, si moltiplicano e sono tutte rivolte a quattro mosche, infatti il protagonista nella sua sregolata e folle performance verbale evidenzia il suo contraddittorio, conflittuale, rapporto col mondo esterno, vacillando tra la ragione e la follia: Mezzatesta, alla fine, si toglie il suo pigiama, indossa un vestito e dopo aver completato il suo crudo, vero elenco di riflessioni e ricordi, fuori dal senso comune ed apparentemente senza senso, va via dalla sua dimensione, scende tra il pubblico e saluta, stringe la mano, a tutti gli spettatori presenti in sala. E dopo l’interessante monologo dell’applaudito Sebastiano Mancuso tra il pubblico serpeggiano tanti interrogativi e tra questi è solo uno che prevale: ma la follia, in definitiva, non è poi un progressivo allontanarsi dal mondo?