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Partiamo da un enunciato, arbitrario fin che si vuole, ma io ci credo e non solo io: una comunità senza teatro è priva di un elemento fondante la comunità stessa, cioè la possibilità di rappresentare il mondo. Il bisogno, la necessità, la pulsione alla rappresentazione sono fondanti l’individuo e la società come l’istinto di sopravvivere, di riprodursi, di mangiare, di dormire, di sognare, di goder della bellezza e della contentezza.

Non è dunque un caso se, accanto al municipio, alla scuola, alla chiesa, alla loggia dei mercanti, all’ospedale, troviamo il teatro. Vale per tutti i tipi di società sia pure con molte varianti. Sbagliano tutti coloro che lo ritengono superfluo.

Dunque diciamo che c’è un teatro e che tutti lo pensiamo come una delle istituzioni pubbliche, come anche il museo e la biblioteca.
Ma se quando il municipio, o la scuola, o l’ospedale, col passare degli anni non sono più adatti alle esigenze della comunità noi possiamo decidere di costruirne di nuovi, per i teatri e per le chiese è più difficile: di solito sono edifici non solo funzionali ma anche belli, perché spesso l’edificio stesso è un bene artistico prima ancora che luogo di spettacolo o di culto. Come si fa a buttarli giù, abbandonarli, se non più adatti al loro scopo?

Non mi occupo delle chiese, lascio ad altri il loro problema.

Parlo di teatri: recentemente a Bologna la soppressione dell’ETI ha aperto il problema del teatro Duse. Che farne? In una lettera a Babbo o Mamma Natale pubblicata da La Repubblica di Bologna del 9.12.2010 io ho chiesto di chiudere quel teatro e ho elencato una serie di ragioni economiche, architettoniche, funzionali. E’ stato come gridare “Il re è nudo!!”. Tutti lo pensavano ma nessuno voleva dirlo. Pochissimi mi hanno rimproverato in nome del “Guai a distruggere un luogo culturale!”

Credo che sia giusto opporsi a chi sostiene (per ignoranza o malafede) che con la cultura non si mangia, ma credo anche che la comunità artistica abbia il dovere di non sprecare risorse pubbliche, cioè di tutti i cittadini, in nome di una intangibilità che scambia un luogo di rappresentazione (nato ad Atene con la democrazia) per un dogma della fede.

P.S. penso che anche alcune brutte chiese nate dalla speculazione edilizia degli anni dopo il ’60 facciano male alla comunità.