Visite: 1947

Divagazioni... andrà in scena in marzo per la regia di lorenzo loris al teatro.

La storia
Una città multietnica, contaminata. Città di confine –il confine del tempo, la vacillante, appena varcata soglia del 2000; il confine spaziale, delimitato da un mare che non separa ma unisce a tutti i suoni e gli odori, e i rumori e i colori del mondo. Genova, ma potrebbe essere ogni altra metropoli odierna. L’immenso e bellissimo centro storico: musica d’archi dalle finestre del conservatorio, suoni d’organo dalle chiese medievali –e tamburi suonati da mani negre e bazar vomitati da tappeti africani, sulla strada. Una città sospesa fra passato e futuro. Una città che è il frutto dinamico e proteiforme, caotico e forte, delle mille città che la compongono, delle mille identità che la abitano. A percorrerla, evocandola, raccontandola, -scontrandovisi-, sono due emarginati, due "picchiatelli" buffi e tragici: perduti nei caruggi tortuosi della loro mente traballante e oscura, cercandovi un’identità, e trovandone troppe, o nessuna. Così i labirinti bui della città, i cupi atri in cui risuonano voci straniere e incomprensibili, raddoppiano quelli tortuosi, schizofrenici e perduti, delle menti dei due protagonisti. Che vanno cercandosi, in una città alla ricerca di se stessa. Nel desiderio di comporre in un quadro unitario, o almeno un briciolo compatto, leggibile, voci e idee, suoni e musiche, odori e pensieri disparati. In questa crisi, il desiderio da parte dei protagonisti di dotarsi di un’identità forte, da indossare per affrontare il mondo. I due anonimi "picchiatelli" incarneranno allora Don Chisciotte e Sancio Pansa. E intraprenderanno un buffo e doloroso percorso a tappe, fra speranze e umiliazioni, fra "divagazioni e naufragi", con sconfitta finale: una autentica via crucis. Un cammino di redenzione che si interromperà davanti al mare: stavolta limite invalicabile, emblema dello scacco.

Note dell'autore
Qualche psichiatra s’è preso la briga di diagnosticare, a poco meno di quattrocento anni dalla sua sfolgorante apparizione nelle terre di Spagna, la patologia dell’hidalgo Quesada: secondo l’attuale nosografia, il cavaliere mancego fu affetto da parafrenia fantastica, una delle molte declinazioni della schizofrenia. Non ho trovato un riferimento clinico altrettanto preciso per Sancio Pansa, ma sono certo che un nome sotto il quale incasellare quella sua credulità eroicamente generosa, la moderna psichiatria l’abbia inventato. E che ad esso abbia saputo abbinare una cascata di pillole e punture. Divagazioni labirinti e naufragi di Sancio errante propone una delle possibili risposte alla domanda chi sarebbero, e come e dove, ai giorni nostri, Sancio e Chisciotte? In quale atteggiamento nelle nostre città li sorprenderemmo? Dentro quali piani di recupero verrebbero trascinati dai solerti psicologi di qualche Centro d’Igiene Mentale? Quanti buchi avrebbero sulle braccia, ciascuno il segno e la storia di una crisi tanto violenta da dover essere placata con un sedativo? Sancio e Chisciotte s’incontrano presso un muro. Il sussidio statale d’invalidità di cui fruiscono dà loro l’opportunità di veder scorrere la vita degli altri, restando, con la propria, al margine. Salvo filare all’A.S.L più vicina nei momenti in cui la malattia s’impadronisce dei loro cervelli con particolare virulenza. Due paria, insomma, che fanno avanti e indietro fra casa e C.I.M, che sanno a memoria nomi e dosi delle medicine; che a forza di sentirli parlare, gli psichiatri, saprebbero ormai tenere una conferenza piena di parole difficili. Sancio e Chisciotte si vedono e si seducono l’un l’altro: perché prendono a condividere un’utopia: la fantasia magica che il mondo "reale" non sia quello suggerito dagli psichiatri, il mondo "nei ranghi" intravisto attraverso quelle lenti "fabbricate" dagli psicofarmaci -un mondo di "armonia" più che di conflitto, di ordine più che di caos-; l’idea che gli psicofarmaci stendano una patina che pialla le asperità, maschera gli spettri, crea principi di causalità laddove non è che caos. La loro eroica ribellione è proprio questa: è la scelta di tentare di rivolgersi al mondo secondo uno sguardo autonomo, non conformisticamente orientato da medicine e psicologi. Rifiutare la terapia significa accettare che i diavoli i mostri gli spettri si materializzino. Quindi imbracciare le armi e ammazzarli fino all’ultimo: per liberarsene una volta per tutte, e non limitarsi ad anestetizzarli, come si fa ricorrendo ai farmaci, che agiscono più sugli effetti che sulle cause. Cavalieri erranti, eccoli a lottare, nell’arco di ventiquattr’ore, con gli incubi di tutta una vita. A fare i conti con i fantasmi liberati, per i dedali oscuri e faticosi di una città, Genova, che nella sua buia e labirintica geografia, nei vicoli angusti e nei saliscendi cupi di certe sue zone, riproduce in scala il labirinto della mente. Sancio e Chisciotte arrancano nei budelli bui e insidiosi come i loro pensieri, alla ricerca di un’uscita, di un contatto col mondo. Nella loro erranza cercano invano di sedurre le "dame" di un ballo (o esse sono solo una materializzazione della loro fantasia?); si raccontano (Chisciotte narra il suo calvario fra medici e esorcismi, diagnosi di schizofrenia e di possessione demoniaca, cure farmacologiche e esorcismi... entrambi evocano ossessivamente, uomini in fuga, le figure delle loro donne, là a casa -"povere madonne", madri e mogli, pazienti e disperate- che, uniche, sembrano poter tenere insieme i brandelli della loro identità); si cercano e vorrebbero adottarsi reciprocamente, come padre e figlio; pregano Dio e bestemmiano, che è la stessa cosa. E devono ammettere, alla fine, lo scacco. Intrappolati dalla malattia ineluttabile che torna a renderli monadi, vicini ma separati, incapaci di creare un vero rapporto fra sé e con il mondo: estranea e incomprensibile, gigantesca e caotica macchina che li schiaccia.
Massimo Bavastro

"Divagazioni..." ha vinto il premio "Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini", destinato a un'opera significativa per i suoi valori d'attualità e le prospettive di evoluzione drammaturgica nell'edizione 1999 del Premio Riccione per il teatro. Questa la motivazione della giuria:
Rivelato a Riccione, quattro anni fa, da Cecchini, Massimo Bavastro continua la sua strada nella ricerca spostandosi dalle rovine di Sarajevo tra i carugi di Genova dove incontra imprevedibilmente Don Chisciotte e il suo scudiero, vedovi di Cervantes e sottratti alla loro epoca, chiusi in una storia che non è più una storia, anche se ricalca quasi per caso almeno nei titoli delle stazioni certe tracce episodiche del gran romanzo. Ma questo viene stravolto come chi lo vive: Alonso e Sancio sono due irregolari impasticcati drop-out che attraversano una delle loro giornate in una città spettrale, tra oggetti ribelli e ombre allarmanti, senza uscire dalla propria mente, inventandosi un parlato popolare che, con qualche omaggio a Tarantino, risulta uno smembramento della lingua, erede di costruzioni dialettali sfatte. I due vagano battendosi contro l'ossessione di fantasmi personali, rovesciando scrivanie di pubblici uffici, elevando in chiesa preghiere blasfeme, per finire a masturbarsi guardando il mare che, per quelli come loro destinati a non partire mai, non offre alternative di speranza.

Leggi