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Tango ha debuttato sulla scena nel 2000 al Teatro dell'Orologio di Roma. E' stato trasmesso dalla Rai per "Palcoscenico" nel febbraio 2002. Una nuova edizione, è stata rappresentata dal 18 marzo al 20 aprile scorso al Teatro Due di Roma con la regia dell'autrice, interpretato da Crescenza Guarnieri e Rolando Ravello, con le musiche originali di Daniele Silvestri, il disegno Luci di Edoardo Sabelli, le coreografie di Luciano Donda, le foto di Fabio Lovino. Ha ottenuto i Patrocini di Amnesty International, delle Abuelas de Plaza de Mayo e di Ponte della Memoria. Un progetto Teatroinascolto® prodotto da La Casa dei Racconti e la Contemporanea ‘83.

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Note di regia
In un ambiente unico (che poi scopriremo rappresentare due luoghi diversi) un uomo e una donna raccontano la loro storia parlando direttamente al pubblico.
L’uomo e la donna non parlano mai tra di loro, ma i loro monologhi si intrecciano e il loro racconto a volte sembra combaciare: si capisce che le loro vite scorrono parallele e stranamente incrociate, ma fino all’ultimo non sarà svelato qual’ è il nodo che li unisce. I due personaggi appartengono a due periodi storici diversi, ma stanno raccontando la stessa storia. Solo nel finale si guarderanno finalmente negli occhi e si “parleranno” per la prima volta, ballando insieme un simbolico tango.
Il rapporto diretto con il pubblico è di fondamentale importanza: c’è nella scrittura un continuo passaggio dal racconto del passato al racconto del presente e la presenza di un interlocutore, anche se muto (il pubblico, appunto), rende possibili questi salti temporali, evitando che il testo diventi troppo “letterario”. È come quando si racconta ad un amico qualcosa che ci è successo: non si bada molto all’esposizione esatta degli avvenimenti: si torna indietro nel tempo con la memoria e poi si va avanti e poi ancora indietro, finchè alla fine tutte le tessere del puzzle combaciano perfettamente e chi sta ascoltando ha una visione completa dei fatti.
Non ho voluto, di proposito, creare una scena complessa, così che lo spettacolo potesse essere rappresentato anche in spazi non prettamente teatrali, o in teatri piccoli, non tradizionali (senza palcoscenico o con il palcoscenico a livello del pubblico). Pochissimi elementi caratterizzano i due ambienti: una coperta e delle candele per lei e un martello e delle foto da appendere al muro per lui. Mi sembrava più interessante lavorare proprio sul concetto di “racconto”, privilegiando questo aspetto alla ricerca estetica.
Con gli attori ho lavorato in modo che quello che viene detto sia sempre detto e mai recitato: la verità della storia narrata è più importante della tecnica, del “mestiere”.
È una storia che poteva capitare a chiunque di noi, se fossimo nati e cresciuti in quell’epoca, in quel paese, in quel regime dittatoriale.
E chiunque di noi avrebbe potuto raccontarla.
Francesca Zanni

Di cosa parla:
Un pezzo di storia dell’umanità che qualcuno preferirebbe dimenticare: Argentina, desaparecidos. Due vite scorrono parallele. I due protagonisti condividono la forza della giovinezza, l’orrore per la perdita dell’identità e la passione per il tango. Lo spettacolo è nato per sensibilizzare l’opinione pubblica su una pagina della storia che per molto tempo è stata bandita dalle informazioni governative. Tango è ancora oggi uno spettacolo di denuncia sociale e di attualità, infatti proprio in questi giorni è in atto a Roma il Processo d’Appello alla sentenza di condanna del 6.12.2000 della Seconda Corte d’Assise di Roma. Lo Stato Italiano, insieme ai familiari delle vittime, ai sindacati CGIL, CISL E UIL, si è costituito parte civile contro i militari argentini responsabili della scomparsa di molti cittadini. Infatti, non tutti sanno che molte delle vittime, i desaparecidos, erano italiane. Questo atto della giustizia italiana segna un momento importante nel rapporto tra storia e memoria ricordandoci, attraverso il calvario dei perseguitati italiani, l’orrore di una dittatura che ha rappresentato uno spaventoso crimine contro l’intera umanità. In particolare vuole ricordare che l’Associazione delle Abuelas de Plaza de Mayo è attiva da più di vent’anni nella ricerca delle famiglie d’origine.

L'idea
Ho sempre pensato questa cosa: le idee girano, sono nell’aria e ti arrivano addosso quando meno te lo aspetti. L’idea di “Tango” è arrivata all’improvviso, dopo aver letto un articolo su un giornale. Parlava dei figli dei desaparecidos argentini. Figli che sono stati rubati, adottati illegalmente dagli stessi carcerieri e torturatori, figli che non lo sanno. Ancora oggi le madri dei desaparecidos, a quasi vent’anni dalla fine della dittatura, ogni giovedì si radunano in Plaza de Mayo, a Buenos Aires, per chiedere giustizia. Queste madri sono anche nonne, nonne di nipoti che non hanno mai visto: le loro figlie furono portate via incinte e uccise dopo aver partorito. Il traffico dei bambini era piuttosto redditizio e ancora oggi molti ex militari vivono da liberi cittadini. Come dire: quello che è stato è stato, voltiamo pagina, si ricomincia da qui e pazienza se qualcuno si è perso, se non si trova al posto giusto, mettiamo la polvere sotto al tappeto e così sia. Ma l’associazione delle “Abuelas”, le nonne, si è messa in testa di cercarli questi nipoti e di riportarli a casa. Si calcola che siano più di 200 i bambini sottratti ai loro veri genitori. Le nonne di Plaza de Mayo ne hanno già ritrovati 65. E aspettano gli altri, per raccontargli chi sono veramente.
Quando ho cominciato a scrivere non sapevo che cosa sarebbe successo, se questo spettacolo l’avremmo realizzato, se mai qualcuno l’avrebbe visto, se saremmo stati capaci di raccontare qualcosa che non sappiamo. L’unica cosa che ho pensato è stata “se possiamo mettere anche soltanto un pezzetto di questa storia nei cuori della gente, se possiamo incastrare questa tesserina nel puzzle, anche se imperfetta, anche se storta, ma sincera, io sarei felice”. Si, lo so, non è una storia “nostra”, non è successo qui, ma non possiamo fare a meno di pensare che è una storia che appartiene all’umanità, una storia che tutti dovrebbero sapere. Forse la mia generazione, quella dei trentenni, è una generazione senza sogni, senza grandi ideali. Abbiamo un buco alle spalle che non ci permette di guardare avanti con coraggio, come un’interruzione della memoria, delle tradizioni, di quello che ci dovrebbe appartenere, così noi non apparteniamo a niente, né a un’idea, né a una filosofia, né a un movimento. E viviamo dei sogni di altre stagioni, di altri uomini: il ’68 o la guerriglia dell’America Latina. Eppure i ragazzi di oggi si identificano facilmente con quelli di allora, forse perché hanno la stessa età, forse perché vorrebbero un’utopia da condividere e fanno propri degli ideali che non esistono più. Ma chi sa davvero cosa è successo? I ragazzi di allora sono stati cancellati, un’intera generazione è stata spazzata via: un buco di trentamila anime dietro di noi. E chi è rimasto non sa di essere l’erede di una stirpe di eroi. Così, in “Tango”, Miguel scopre di essere il figlio di Carla, morta in carcere, e non del militare che l’ha rapito. Semplice. Come se fosse semplice scoprire che non sei quello che hai sempre creduto. Come se fosse semplice andare a morire sapendo che là fuori c’è tuo figlio. Come se fosse semplice sciogliere quel nodo. I due protagonisti vivono in due tempi diversi, non parlano mai tra loro, ma condividono la forza della giovinezza, l’orrore per la perdita dell’identità e la passione per il tango. Non si conosceranno mai, ma si assomigliano. E mentre scrivevo mi saliva dentro la rabbia di sapere che di certe cose si preferisce non parlare. E mentre scrivevo ho capito che tacere significa essere, in qualche modo, complici. E mentre scrivevo, quasi senza sapere niente di quei fatti, cercando di parlare solo di sentimenti, provando a immaginare vite e pensieri, ho scoperto che altri stavano raccontando pezzi diversi di quella stessa storia, con libri e film e altri spettacoli, e mi sono chiesta perché? Perché adesso, perché tutto insieme? Perché tante voci che parlano di una sola cosa? Forse perché le idee girano, sono nell’aria e ti cadono addosso senza preavviso e feriscono più persone, qualcuna di striscio, altre al cuore. O forse soltanto perché adesso è tempo di sapere. Semplice.
Francesca Zanni