Yasmine Reza (o più esattamente Yasmina) è un’autrice d’origine persiana ma perfettamente francesizzata, nata cinquantadue anni or sono, autrice di un testo – “Art” – che a partire dal 1994 ebbe grande e meritato successo in tutto il mondo.  Di poi – e dapprima – una folgorante carriera, dalla fortuna a mio avviso leggermente sovraesposta (ma questo – confesso – potrebbe essere soltanto invidia!), che trova per ora un suo culmine con il film che Roman Polanski ha tratto da una sua opera drammatica, Le Dieu du carnage, scritta e rappresentata nel 2007.

Detto e fatto: con il titolo semplificato in Carnage, il film è approdato a Cannes, dove peraltro neppure il nome di Polanski è riuscito ad accendere un fiammifero di interesse nei cuori dei giurati, che l’hanno bellamente ignorato.  A mio avviso, hanno fatto bene: Carnage è la improvvida riproduzione di quanto avviene in una stanza, dove quattro genitori si incontrano per vedere di sanare un litigio dei loro figli, in un clima di iniziale buona volontà che degenera presto in un liti e violenze. Come si usa dire in questi casi, è una di quelle opere in cui i protagonisti si dilaniano, mettendo a nudo gli impulsi bestiali che si nascondono (ci mancherebbe altro!) sotto la levigata superfcie delle nostre pubbliche apparenze.

Ho detto inprovvida riproduzione perché non esiste nel film nessuna mediazione con la realtà teatrale del testo: un paio di macchine da presa sistemate sulla scena del Dieu du carnage in un qualsiasi teatro di prosa non avrebbe fatto né di più né di meno.  Questo, naturalmente, aprirebbe il problema della traducibilità filmica delle opere di prosa; che peraltro il cinema americano ha brillantemente superato ab ovo con i testi altrettanto “claustrofobici” di Neil Simon e di Tennessee Williams, e addirittura con quell’incredibile capolavoro che è Arsenico e vecchi merletti di Kesserling (e di Frank Capra).  Ma limtandoci al testo teatrale, cinquant’anni dopo l’abbastanza analogo Chi ha paura di Virginia Woolf  di Edward Albee, questo Carnage  appare un inutile sottoprodotto: la vicenda è fin dall’inizio scontata nei suoi esiti, l’alternarsi di momenti di dialogo con le esplosioni di violenza è scandito secondo prevedibile ovvietà, un accesso di vomito fornisce l’immancabile dose del cosiddetto “crudo realismo”, un turpiloquio da terza licceo (dove suppongo che gli innumeri “cazzo” stiano per altrettanti “fuck you” o “bloody”) tenta di sopperire con la violenza lessicale alla latitanzo di violenza più sostanziale, eccetera eccetera.

Tutto appare insomma “recitato” e falso, e lo confermano a  mio avviso anche le risatine con cui il pubblico in sala (per lo meno alla proiezione delle ore 21 di sabato 17 settembre al San Giuseppe di Brugherio) ha accompagnato i momenti di più ingiustificato dilaniamento psicofisico dei personaggi.  La recitazione è buona ma non eccelsa, come puntualmene hanno  strombazzato i resoconti televisivi: il migliore mi è parso Christoph Waltz,  e non molto convinta mi è suonata Jodie Foster. La convinzione, del resto, mi è parsa latitare del tutto in Roman Polanski, che mancando totalmente la mediazione tra teatro e cinema di cui già abbiamo fatto cenno, non è andato molto più in là delle due macchine da presa di cui anche si è detto, e che sembra aver fatto tutto con la mano sinistra, in fretta e furia, con un verosimile eccsso di ricorso al “buona la prima”. Ma soprattutto – tornando al testo teatrale – mi si consenta di rinnovare la protesta contro il vizio della drammaturgia americana (evidentemente trasmesso in Europa) di costruzioni senza capo né coda, dove l’aggrovigliamento progressivo di una situazione (comica o drammatica che sia) non si risolve in una logica conclusione ma si limita ad arrestarsi ad un certo punto, più o meno culminante, con una battutaccia di cui si approfitta per calare il sipario, e troncando ogni  (im)possibile prosieguo.

Così anche qui: Carnage ha un capo, ma non una coda: potrebbe durare mezz’ora di meno o mezz’ora di più; finisce non quando in qualche modo si conclude la vicenda, ma quando si è raggiunto il tempo di durata previsto. I quattro personaggi di Carnage potrebbero andare avanti; Christoph Walz potrebbe confessare una sua morbosa passione per Jodie Foster, le coppie scoprirsi un’inconscia ma irresistibile tendenza al wife swapping, degenerabile in groviglio omosessuale, finchè uno uccide qualcun altro, a sua volta viene ucciso da un terzo che si suicida,  e finalmente arriva la polizia ad arrestare l’unico sopravissuto. . Ecco: questa sì che è una conclusione!