Daniele è convocato dal questore, che gli dice, calmamente e caldamente:
“Mi dica, allora, quali sono le sue prime impressioni, quali problemi personali ha incontrato.”
Daniele si prende qualche secondo per rispondere, vuol essere sincero, ma prudente.
“Beh, mi chiedo e le chiedo: ma non bastavano delle intercettazioni telefoniche per assumere delle informazioni sui vari casi?”.
Il questore lo guarda, fra il sorpreso e l'ironico:
“Io le ho chiesto un parere personale, non di affrontare problematiche organizzative istituzionali! Comunque le rispondo, mi pare legittimo: le intercettazioni le decidono le procure quando noi abbiamo motivi sufficienti per individuare un reato: non dimentichi che siamo in una fase sperimentale, in cui lei, e altri suoi colleghi, state in qualche modo surrogando il personale di polizia investigativa, falcidiato da tagli, prepensionamenti, rinunce, et alia.”.
Breve pausa in cui il questore va alla caffettiera elettrica, chiedendo gentilmente a Daniele se gradisce un caffè: risposta affermativa; il questore inizia un suo rito piuttosto strano: prende la cialda del caffè e la sbatte più volte tra i palmi delle mani; poi l'annusa; la risbatte per poi scuoterla tenendola con i polpastrelli del dito pollice e dell'indice; la fissa in controluce, e la inserisce nel vano preposto della macchina; poi esegue i medesimi movimenti con la seconda cialda, mentre il caffè della prima cola liquido nel bicchierino plastificato; annusa il profumo che promana nella stanza; inserisce la seconda cialda, e prende qualche bustina di zucchero, invitando Daniele a scegliere: di canna, dietetico, raffinato. Quest'ultimo interpreta le gestualità rituali “questurine” in metafora: l'oggetto dell'indagine viene pertrattato, soppesato, sbattuto, annusato, osservato, magari stravisato, sgarrupato, con attenzione, ben bene: il caffè che fuoriesce è il risultato del processo d'indagine. Il questore degusta con estrema soddisfazione il suo caffè, come se l'indagine, pensa Daniele, fosse perfettamente riuscita.
“Allora, le faccio io qualche domanda puntuale, mentre lei sorseggia il suo caffettino, va bene?”.
Daniele annuisce col capo.
“Ha percepito un senso d'estraneità durante le missioni svolte? Come dire: ma io che ci faccio qui?”.
“No, direi di no, forse ero troppo occupato dallo svolgere il mio compito, la mia azione, nel miglior modo possibile, senza rischiare.”.
“Bene! E a casa, durante dei momenti di relax, si è chiesto: ma chi me lo fa fare? Ma chi se ne frega dei soldi che mi danno! ... La prego di rispondermi sinceramente!”.
“Si, me lo son chiesto, ma rispondendomi subito che il mio desiderio è vivere pienamente questa esperienza, forse potrebbe ridare un senso più profondo, autentico, al mio lavoro d'attore: ecco perché, prima d'iniziare il training, le chiesi se correvo il rischio di non riprendere più la mia attività artistica!”.
“Dicendomi così lei dimostra sensibilità, consapevolezza del proprio agire, e... diciamo che mi tranquillizza. Sa, da un certo punto di vista questo tipo di collaborazione, se interpretato come fa lei,  evita certe spiacevoli conseguenze che subiscono i nostri agenti underscore: molti scoppiano, vanno in stress deleteri, rompono con le famiglie, e, non ultimo, rischiano la pelle! Lei capirà che le mie domande servono a verificare la bontà di questa sperimentazione, che io stesso ho inventato, e poi proposto al ministro: mi sono assunto una grossa responsabilità, come può capire, forse per amor di patria, forse per orgoglio personale, forse per ambizione, chissà! Non voglio analizzare, spaccando il capello in quattro, le mie motivazioni più profonde: so che ora dobbiamo a-gi-re! Poi, fra qualche tempo, tireremo le somme, sapendo che tutto può risultare, mi permetta, una enorme cazzata!”.
“Non saprei cosa augurarmi, per ora credo anch'io che si debba proseguire,”.
“Un'ultima domanda, un po' delicata. Sa, lei è una persona matura, ma ancora nel pieno vigore: questa vita, si diceva un tempo, “d'abatino” (niente o poco sesso, vita igienica al massimo, rinuncia a certe comodità, poca visibilità esterna e sempre assolutamente controllata), per ora la mette in forte tensione?”.
“Per ora no, perché corrisponde, se vogliamo, a un modello di vita che mi soddisfa, a prescindere da questa nostra esperienza; per il sesso, incontro una tantum la mia compagna, quando crede che io torni a casa per una pausa dagli impegni esteri: tutto qui!”.
“Molto bene! A questo punto, allora, posso spiegarle subito quale sarà la sua prossima missione: non prenda appunti, tanto le arriveranno le istruzioni scritte, e mi ascolti!”.
Daniele si sistema meglio sulla poltroncina, guarda Guadagnoli con attenzione, se ne sente attratto, intuisce che è una persona di grande preparazione, ed attenzione verso gli altri: lo afferra il suo sguardo, divagante ma al contempo attento:
“Dunque, si tratta di questo: in uno dei tre Atenei statali di Roma abbiamo il sospetto che un professore della Facoltà di Lettere sia di riferimento a una squadra di puschers per lo smercio di droghe pesanti agli studenti; escludiamo che l'organizzazione di questo sconcio commercio  avvenga all'interno dei locali di facoltà, daltronde sarebbe davvero da ingenui cadere in un simile errore. Certamente pare che non pochi studenti, qualche giovane dottorando in carriera, ma nessun collega cattedratico, usufruiscano di questo, chiamiamolo, servizio: naturalmente in cambio di favori vari, dal voto altissimo, piuttosto che al posto da vincere in un qualsiasi concorso, e alia. Non le voglio dare valutazioni di tipo etico, disciplinare (ricordiamoci che un dipendente dello Stato, come lo sono io stesso, è tenuto a un comportamento onesto, onorevole, come detta la Carta costituzionale); non mi soffermo nemmeno a sottolineare il degrado morale in cui è caduta la nostra Università: favoritismi, nepotismi, concorsi pilotati, con tutte le ricadute negative sul livello culturale del Paese e delle nuove generazioni. A me interessa appurare se ci siano concreti indizi di reati commessi. Lei si deve spacciare per uno studente anzianotto che vuol guadagnarsi la sua onesta laurea dopo anni di impegni vari che gliel'hanno impedito; naturalmente si dichiarerà studente-lavoratore che di fatto non può frequentare. Le farò avere dei documenti “falsificati”, tipo libretto d'iscrizione, statino degli esami, da poter presentare al docente in oggetto, per essere credibile. Le lascio totale libertà sulla strategia da seguire. Può prima “agganciare” qualche studente, o gli uscieri di facoltà, o andare direttamente a conoscere il prof. T. G.: veda lei. Intanto le cosegno un fascicoletto con maggiori dettagli, poi le arriverà l'incartamento ufficiale di inizio missione. Ha qualche domanda da farmi?”.
Daniele lo guarda percependo nella sua espressione facciale una sorta di disgusto.
“No, cioè... si... : ma cosa pensa lei del mondo in cui viviamo, lei che, come mi disse, lambisce inevitabilmente le fiamme dell'inferno!?”.
“Le rispondo con le parole di uno scrittore che lei ama: “Si deve cercare di scoprire cosa non è inferno, dove non c'è l'inferno, e amare, fortificare, insediare lì il nostro spirito”; ma, aggiungo io, non valutando ciò come fossimo dei piccoli dèi, no, no... ; essendo consapevoli che anche in noi possono abitare piccoli o grandi inferni.”.
“Lei si esprime con concetti e un linguaggio piuttosto religioso!”.
“Io credo che il vero inferno sia pensare che non ci sia un inferno: sarebbe come lasciare spazi infiniti e liberi al male!”.
“Tutto sta accordarsi cosa sia male, cosa sia inferno!”.
“Per me, uomo di legge, il male è innanzi tutto non rispettare le leggi!”.
“ Ma lei sa che le leggi cambiano, mutano, a seconda del tempo storico, delle civiltà, dei luoghi antropologici!”.
“Certo, naturalmente! Le leggi a cui mi riferisco sono quelle del Paese in cui vivo, che possono essere sempre cambiate! Poi ci sono altre leggi, quelle della morale, dell'etica. Bene, a mio parere dobbiamo sforzarci, in un mondo bene o male globalizzato, di individuare un'etica condivisa, non imponendone una unica e superiore: e so bene che tale compito sarebbe lungo, difficile, esigendo apertura mentale, direi anche sentimentale!”.
“Eppure penso che ci siano alcuni principìi, diciamo “naturali”, validi per tutta l'umanità, come diverse Carte dei diritti hanno sancito negli ultimi due secoli.”.
“Il primo dei quali è il diritto di ogni creatura alla vita: ma io credo che ogni creatura ha la sua vita, e assieme partecipa alla Vita, a quella trama cosmica dell'esistenza, nella quale ogni uccisione, o soppressione di singole vite, costituirebbe uno strappo irrimediabile, anche il più minuscolo.”.
“Capisco, si potrebbe affermare che se non ci fossero dei valori limite, assoluti, che trascendono i singoli individui, non resterebbe che l'homo homini lupus!”.
“Certo, si tratta di leggere la trama del nostro vivere andando oltre il nostro ego: siamo persone che s'intrecciano a persone, che viviamo in stretto rapporto con il cosmo, con la natura, oggi si dice “con l'ambiente”; e, aggiungo, secondo me, che intuiscono una verticalità che ci conduce al Divino.”.
“Ecco perché ho fatto riferimento al linguaggio religioso, forse fideistico!”.
“E chi non ha una fede? C'è chi crede, che so, al denaro, chi al potere, chi crede di non credere; chi crede alla laicità; chi crede che non si debba credere in qualcosa; e così via. Io comunque penso, detta così alla spicciola, che la morte di Dio abbia portato più guai che vantaggi.”.
“Naturalmente si tratta di comprendere cosa si intenda per “Dio”.”.
“Naturalmente: si tratta di distinguere, senza separare, la fede dalle credenze. E di confrontare liberamente e con rispetto le varie credenze fra loro.”. Guadagnoli tende la mano a Daniele:
“Però ora la devo congedare, ho diversi altri impegni, e il dovere immediato e concreto di far rispettare la legge, che, ricordiamocelo, può, deve, essere sempre migliorata! Si legga con calma il fascicolo, le do un paio di giorni di tempo.”.
Daniele riflette sul breve e rapido scambio di battute così intenso, che lo ha riportato ai massimi sistemi del mondo e dell'uomo; intravvede la profondità, forse la bellezza interiore di quell'uomo, apparentemente dedito in modo burocratico al disbrigo degli affari concernenti l'amministrazione dell'ordine pubblico e fin della giustizia. Sente che quelle parole iniettano nuovo entusiasmo nel suo agire; sa che tornerà a rifletterci sopra, magari rivolgendosi di nuovo all'amico professor Batolli. Si studierà il fascicolo, entrerà in azione ancor più convinto, ancor più fiducioso.

Daniele è in attesa del prof. T. G., che ha un ritardo di circa un'ora sull'orario di ricevimento, seduto fuori dal suo ufficio. Ha deciso di giocarsi la sua prima mossa  incontrando direttamente il docente al solo fine di farsene un'idea sommaria. Lo contornano bacheche affisse ai muri, sulle quali è posata una quantità abnorme di foglietti, post-it, manifestini: un microuniverso inzeppato di messaggi, info, news, comunicazioni: un inestricabile groviglio di parole e immagini: uno spreco di pensiero, tempo, energie; un puzzle di annunci affidati a vaghe speranze. Daniele pensa che oramai il flusso comunicativo passa in gran parte attraverso i canali dei nuovi media, per cui quell'ammasso di carta è messo lì sulle bacheche per i pochi nuovi analfabeti  del web. Sulla porta dell'ufficio, però, campeggia, sotto la targa indicante “Letterature comparate europee”, l'avviso dell'orario di ricevimento del prof., che ormai accumula un'ora e mezza di ritardo. Daniele se ne sta andando via, quando al fondo del corridoio intravvede la sagoma, già da lui studiata in fotografia, del docente: alto, robusto, semicalvo, occhialuto, con un sorriso fisso stampato sulle labbra, una giacca di velluto color scuro: alla sua destra una giovane che non può passare inosservata data la sua avvenenza: alta, giubbetto color pastello, ovale del viso perfetto, nasetto impertinente, regolare, e due occhioni da bambola di cera: avanza con passo di volpe. Un po' indietro li segue un ragazzo di corporatura modesta, capelli a spazzola, sguardo un poco assente, veste jeans e un giubbetto verde paramilitare: avanza lentamente con passo  di gatto mollaccione.
I tre aprono la porta, invitando Daniele ad accomodarsi subito. Il prof., nonostante il divieto, caccia fuori dalla tasca un pacchetto di Philip Morris,  se ne accende una, ed esaltando il suo sorriso stampato invita il presunto studente a parlare. Daniele chiede lumi sul programma d'esame, fa presente le sue difficoltà, ma soprattutto fa parlare il più possibile l'accademico, perché percepisce da parte sua la pronuncia impastata di alcuni gruppi consonantici tipica dei cocainomani: naturalmente sa che quei fonemi potrebbero anche non avere alcun significato para patologico; in più, però, osserva che un paio di volte mette una mano sull'altro polso come a misurare il battito cardiaco, ed anche questo gesto potrebbe avere un qualche significato, essendo i consumatori di coca soggetti ad aritmie molto frequenti. Daniele saluta il terzetto, comunicando la sua intenzione di tornare per avere utili indicazioni ai fini della preparazione dell'esame.
La seconda mossa è incontrare l'usciere del Dipartimento, un ciociaro di nome Alfredo: Daniele sa che uscieri, bidelli, e figure simili, sono più informati di un gazzettino chiacchierone; sono il terminale, a memoria 20 gigabyte, di una serie nutrita di informazioni, pettegolezzi, dicerie, dritte, notizie.
Alberto: Dotto', qua se parla e se sparla, 'o saccio io! Lu prof. T. G. è veramente bbono con chi vole lui, sa? Co' le belle figliole è molto, molto bbono: i 30 e lode fioccano come neve in alta montagna!
Daniele: Solo con le belle figliole?
Alberto: Ma che llei c'ha paura de non supera' l'esame? Ma mica è nu pischelletto, lei! Ma stia tranquillissimo, studi nu pochetto, e tutto andrà benone!
Daniele: E se cambiassi il docente, passando all'altro canale?
Alberto: Ma che vole scherza'? Quell'assatanata de la professoressa De Albertis, appena vede che lei è del canale de lo su' collega, solo pe' questo, la boccia sui due piedi!
Daniele: E perché? Che ci sarebbe di male?
Alberto: Eh... 'mo ce vole! Se odiano, dotto'! Se sbranerebbero! Sapesse le cose cattive che va a di' lei su di lui?
Daniele: Gelosie accademiche?
Alberto: Magara fossero solo quelle! No, nun me faccia parla', nun pozzo propio: so' cose delicatissime!
Daniele: Insomma, non mi consiglia di cambiare canale.
Alfredo: Assolutamente no!
Daniele: Grazie, signor Alfredo: penso che ci rivedremo ancora.
Alfredo: Ai suoi ordini, dotto'! Io qua sto!

Daniele ha trovato un'altra sponda a cui attraccare, la professoressa De Albertis: sarà la terza mossa approdare da lei e farle dire il più possibile su T. G.

Davanti allo studio della docente non c'è nessuno, e dopo circa un'ora d'attesa finalmente Daniele la vede arrivare: piuttosto anziana, dal naso adunco, occhialoni semiaffumicati, passo svelto da volatile di cortile, magra e ossuta, capelli tinti color  ruggine scuro. Sbuffando apre la porta e invita Daniele ad entrare. Apre la finestra dello studio, accende il suo PC, si siede, senza guardare il suo dirimpettaio, poi fa un cenno stanco ad indicargli di sedere. Daniele esegue, tossisce come per schiarirsi la voce, e continuando a fingere inizia a parlare con una lieve, appena percepibile balbuzie.
“Professoressa, io vo... ... vorrei, cambiare canale per fare l'esame con... con lei!”.
La prof. lo guarda, sorride senza ombra di avversione:
“Lei, che immagino sia studente-lavoratore, ha dei problemi col programma o proprio col collega T.G.?”
Daniele prontamente:
“Con il su... suo collega!”.
“Che tipo di problemi?”.
“Non mi sem... sembra una persona... co... come dire: limpida!”.
“E cosa glielo fa dire? Ha sentito parlar male di lui, magari da qualche altro studente giovane?”.
“Se de... devo essere sincero, si!”.
“Insomma, è un prof “chiacchierato”, giusto?”.
“Si, molto chiacch... chiacchierato!”.
“Ma che tipo di chiacchere!”.
Daniele si spinge più in là.
“Io... io non do... dovrei dire certe cose!”.
“Con me può parlare, non abbia alcuna reticenza, tanto tutti sanno che tra me e il mio collega c'è guerra aperta: glielo dico perché vedo che lei oltre ad essere una persona matura, mi sembra anche intelligente e prudente.”.
“Ma, mi scu... scusi, è una guerra puramente accademica?”.
“Anche, certo: il collega T. G. esercita un potere quasi assoluto, in quanto protetto dal rettore, dai sindacati e da molti altri colleghi: è di famiglia ricca! Capisce?”.
“Si, intuisco!”.
“La facoltà è divenuta un suo feudo, ogni decisione importante passa attraverso la sua persona: i concorsi sono pilotati da lui, e vincono sempre i suoi allievi: a livello nazionale, per la nostra disciplina, è considerato una sorta di garante, che è in grado di mediare le varie posizioni, ma sta di fatto che per gli altri rimangono quasi le briciole, i fondi di ricerca, quelli corposi, li attribuisce lui, ai vari gruppi di ricerca; e tutto ciò avviene naturalmente dietro le quinte, per cui ad ogni consiglio collegiale lui ha preparato il terreno secondo le sue misure, le sue partizioni. Ovviamente si è circondato di persone a lui totalmente dedite, nessuno di questi si sognerebbe di andargli contro! E badi bene che formalmente non si troverebbe atto ufficiale  che non sia valido, capisce? Tanto alla fin fine questo conta: la correttezza degli atti formali! Ma il come si è giunti a tali atti rimarrà per sempre coperto”.
“Possibile? Tut... tutti proooo... proooni? Accondiscendenti?”.
“Tutti proni e accondiscendenti. L'unica persona che lo fronteggia sono io, e guardi che non ho interessi particolari da difendere: sono verso il termine della carriera, la mia strada l'ho fatta, e per fortuna al di fuori di questa facoltà: sono arrivata qui per trasferimento avendo già vinto un concorso in un settore disciplinare affine. Diciamo che sono abbastanza libera e non ho interessi personali da difendere: ma mi creda, qui c'è lo schifo, un mix velenoso di interessi, poteri anche minimali e per questo ridicoli, ipocrisie, disinteresse per gli studenti e per il livello culturale che si richiede ad una università. Lei si chiederà il perché di questo mio sfogo: ho deciso di parlare ad ogni minima occasione, e so che prima o poi, come un singolo masso che origina una valanga, una mia parola può smuovere una frana di accuse nella speranza che sommergano il prof. T. G.!”.
“Mi scusi, ma mi ris... risulta che più o meno questa è la situazione di tu... tutta l'Università: francamente se lo scandalo, come lei lo descrive, non si configura quale rea... to, non vedo come lei possa accusare il collega!?”.
“Senta, io posso capire che la funzione educatrice dell'università sia sempre più in crisi, impedendo ai nostri giovani di costruirsi un futuro sereno, e soprattutto di poter esprimere se stessi, oltreché affrontare materialmente la vita; ma che ci sia un qualcuno che questi giovani li ROVINA, no, questo è troppo, si va ogni oltre limite, si azzera ogni valore civile etico culturale, riconoscibile e condivisibile: mi definiscono una “moralista” integralista, e mi hanno praticamente emarginata, come, mi scusi, una rompicojoni! Ma qui non si tratta di essere moralisti, si tratta di rispettare il bene comune, di andare oltre gli interessi di parte, o addirittura quelli di un singolo! Capisce?”.
“Lei parla addirittura di ro... rovina!?”.
“Certo: senta, parliamoci chiaro, se io le confido ciò che penso e di cui son sicura, è perché non temo assolutamente una denuncia per diffamazione, o cose del genere: magari accadesse! Verrebbe giù tutto il castello di carte, con un solo soffio: a meno che non si comprino perfino i giudici!”.
“Mi scusi, ma mi può dire quale rea... reati compierebbe il suo collega?”.
“Vuol proprio saperlo? Ma non ne ha sentito già parlare sottovoce, tra gli studenti, magari appena fuori della facoltà, nei bar circostanti?”.
“No, non so nulla!”.
“La cattedra del prof. T. G. è, diciamo, una centrale di smercio della cocaina e di altre sostanze tossiche! Naturalmente dentro la facoltà non ne gira un milligrammo: lui stesso ne consuma, e qualche altro collega: tutta gente, studenti compresi, del tutto ricattabile! Tutta gente correa, capisce? Se ne parla anche ai livelli più alti, ma per il buon nome dell'Ateneo, tutto per ora viene coperto. E nessuno parla, per paura, o per vergogna, o perché è ricattabile, o perché perderebbe determinati vantaggi. Nessuno se ne vuole impicciare, nessuno crede che un procedimento giudiziario porti in tempi rapidi a una condanna, e così nulla si muove.”.
La prof. prende fiato, si soffia delicatamente il naso, apre la sua borsetta prendendo uno spray che si spruzza nelle nari arrossate.
“Lei mi crede una specie di suffragetta? O una Erinni assetata di vendetta? O una psicopatica ossessionata dalla crudeltà del mondo? So bene che ci sono anche diverse persone oneste, che fanno il loro dovere, ma sono come anestetizzate! Non si muovono, hanno paura! Pensano che contro i disonesti e gli exlege non si possa far nulla!”.
“Io, io... non posso giudi... carla, assolutamente! Posso solo consigliarla di anda... andare lei stessa dalla polizia a sporgere denuncia.”.
“Ma dovrei mettere in mezzo dei giovani studenti, capisce? E le loro famiglie! E questo mi trattiene, e mi tormenta allo stesso tempo! E aspetto che qualcosa di... di...  inopinabile, ecco, accada!”.
Daniele riprende il suo normale modo di parlare, senza finte esitazioni, convintamente, insomma cambia personaggio:
“L'inopinabile ce l'ha davanti a lei, professoressa! Sono un collaboratore underscore del questore che è a conoscenza di questo torbido smercio di stupefacenti!”. Le mostra i suoi documenti comprovanti la funzione svolta, mentre una luce illumina il volto pur impallidito della professoressa
De Albertis, che resta senza parole.
Daniele continua: “La prego di farmi avere tutta la documentazione possibile con gli elementi e le prove che secondo lei possono far aprire l'inchiesta. E se mi permette le do un consiglio. Lasci fare a noi, non cavalchi questa tigre, se ne stia in disparte, lei ha già fatto molto, non si accanisca: credo che anche lei abbia dei motivi del tutto personali per covare qualche rancore, qualche odio, chi non ce l'avrebbe? Le dico solo che, dalle mie ricerche, risulta che quindici anni fa lei non ha superato il concorso ad ordinario, nella cui commissione agiva il prof. T. G.! Ha perso un treno che forse lei ancora rincorre, pur sedendo comoda nel treno successivo, avendo vinto un secondo concorso.”.
La docente lo guarda, si soffia il naso per nascondere la sua reazione emotiva, il suo pianto.
Una settimana dopo Daniele ha in mano le carte della professoressa che subito consegna agli uffici preposti della questura: la missione è compiuta.