Il formicaio di Marco Andreoli
Il formicaio è nato nel corso del workshop “Enzimi 2001” organizzato da “Zone Attive” con gli insegnati della “Scuola Holden” di Torino. La sezione “drammaturgia” del workshop si è avvalsa di una coppia di tutor d'eccezione: Ugo Chiti e Francesco Silvestri. Nello specifico la stesura de “Il formicaio” è stata seguita da Silvestri. Successivamente, il compito di mettere in scena i testi elaborati, è stato affidato ad un sestetto di compagnie romane. “Il formicaio” è stato assegnato a Roberto Latini di “Fortebraccio Teatro”. Lo spettacolo di Roberto Latini ha debuttato il 28 luglio 2001 presso "La Palma" a Roma; il 23 settembre, è stato presentato a Campo Lanciani nel corso della manifestazione "Enzimi" e il 29 ha partecipato alla Festa Nazionale di Liberazione a Castel S.Angelo. Latini, oltre ad aver curato la regia dello spettacolo, ha dato anche voce ai tre personaggi (interpretati "fisicamente" da Enzo De Marco, Cristina Latini e Paolo Grimaldi). Delle musiche e dei suoni si è invece occupato Stefano Scatozza degli "Acustimantico". Un secondo allestimento è stato realizzato dalla Compagnia Quattrotralequinte di Savona nella stagione 2004/2005 per la regia di Elio Berti, con Serena Caviglione, Angelo Marenco, Riccardo Martinotti, Renato Procopio.
Di cosa parla
Da quattro anni Fernando Modho, ex dittatore assoluto dello Stato Solare, vive esiliato in un enorme formicaio sotterraneo. La clamorosa rivolta popolare, rovesciando l’impero, ha però travolto nella sua furia anche Frida che, costretta in superficie a sposare il dittatore, deve ora condividerne la condanna. Dopo tanto tempo Frida appare sull’orlo di un precipizio: ossessionata e tormentata dalle migliaia di formiche che abitano la sua prigione, sta piombando in un vuoto disperato. Modho, d’altro canto, cerca incessantemente una via di fuga e governa i piccoli insetti come fossero i soldati del suo esercito Solare. Poi, un giorno qualsiasi, come se niente fosse, irrompe nel formicaio Gogò, ultimo rappresentante di quella popolazione maldese completamente sterminata da Modho. Gogò si presenta, osserva i suoi interlocutori, domanda cosa ci facciano lì sotto; ma non sa che l’uomo che ha di fronte è, in realtà, proprio Fernando Modho, l’Assoluto.
Nota dell'autore:
dall’articolo “Paternità Bordeaux”, pubblicato sul n.1 di Manifatturae
L’occasione per scrivere un nuovo testo cadde giù dal cielo, improvvisamente. Mi venne offerta, infatti, la possibilità di partecipare al workshop di Enzimi, manifestazione con cui da qualche anno il Comune di Roma cerca di promuovere gli artisti under 35. Per me è stata un’esperienza importante e suggestiva. Tanto più perchè mi era stato assegnato il tutoraggio di Francesco Silvestri, autore tra l’altro del meraviglioso Saro e la Rosa. Francesco, in quell’occasione, mi chiese di cominciare a immaginare uno spazio, una scenografia possibile. Mi sembrò una richiesta strana, innaturale. Così obiettai che forse sarebbe stato meglio pensare prima ad una storia per poi passare alla descrizione del suo contesto. Francesco insisteva: prima lo spazio. Mi fidai, naturalmente. E - non so davvero perché - mi saltò in testa quasi subito l’immagine di un enorme formicaio sotterraneo, tanto grande da poterci vivere:
Una stanza. Penombra bruna, terra dappertutto. Chiaroscuri. Le pareti sono irregolari; come fossero quelle di una caverna. Al suolo, piccoli sassi, qualche cespuglio secco, libri sparsi. Sul fondo un arco-porta che conduce alla “camera da letto”. Un trono-poltrona occupa l’angolo di sinistra. E’ bruno, terroso. Di fianco al trono una scrivania con le stesse caratteristiche costitutive. Sul piano della scrivania, due piccole cataste di libri, carte topografiche spiegazzate e un grande registratore a bobine. Anche il tavolo sulla destra sembra fatto di fango essiccato. Fittoni bianchi spuntano dovunque: dal soffitto, dai muri terrosi, dagli angoli, da ogni elemento che ‘arreda’ l’ambiente. Un tubo di acciaio scende perpendicolarmente giù dal soffitto, terminando con una curva rettangolare a mezz’aria, sopra il trono, come fosse il periscopio di un sottomarino. Fissato ad esso, un campanello elettrico dotato di segnalatore luminoso. Sulla parete di fondo, alcuni ritratti incorniciati.
Il Formicaio è nato così, dall’idea di uno spazio potenzialmente agibile. Quando ero piccolo, mia madre comprava per me e mia sorella, dei fascicoletti numerati in cui erano rappresentati scenari vuotissimi di varia natura: lo sbarco in Normandia, la jungla selvaggia, la superficie lunare; e poi c’erano i personaggi: erano impressi su alcuni foglietti trasparenti che, fatti aderire allo scenario e pressati per bene con la punta di una matita, si stampavano micracolosamente sul fascicolo stesso. Così, piano piano, quei mondi si popolavano: leoni, soldati o astronauti diventavano i protagonisti di una privatissima scena. Questi fascicoletti si chiamavano I Trasferelli e, come è ovvio che sia, non sono più in vendita. Scrivere Il Formicaio è stato un po’ come giocare ai “trasferelli”. La trama non fu altro che la conseguenza di un gioco.
Marco Andreoli
La stampa
(...) Una mano dal carattere più sicuro è quella invece di Roberto Latini di Fortebraccio Teatro, alle prese con l'emblematico e felice "Il formicaio", opera di Marco Andreoli dalle molteplici sfaccettature, dove le implicazioni sociali e psicologiche che definiscono i profili dei vari personaggi esplodono per contrasto in uno spazio scenico astratto. L'incontro fra il regista e l'autore è congeniale ad entrambi. Per il regista, poi, crediamo si tratti di una importante verifica creativa (per giunta ben riuscita) al di là dei propri riferimenti, soprattutto per un autore-attore come Latini abituato a plasmare la materia testuale assorbendone gli umori, le ombre, diventandone così il tramite, il medium dei fantasmi e dei deliri di una parola poetica viscerale, spesso ispirata o tratta da Shakespeare. E il disegno tutto plumbeo e infero di Andreoli, che coniuga gli immaginari della pittura di Bosh alle storie fantastiche di Hrabal (con l'evidente ideale filiazione beckettiana del personaggio Gogò), diventa nello spettacolo diretto da Latini un quadro zeppo di figure ectoplasmatiche. Gesti o azioni mimate (quasi una liturgia da teatro orientale con tanto di maschere) accompagnano una sovrastruttura sonora di voci registrate che sottolineano l'asfissiante condizione dei protagonisti. La prima parte si apre con le immagini proiettate del dialogo tra Frida e il consorte Fernando Modho, ex dittatore dello Stato solare costretto a rimanere esiliato sottoterra dopo una sommossa popolare e dove è riuscito a ricreare uno stato autoritario governando gli animali che popolano quella terra. Nella seconda, si rompe il falso rapporto fra i due, anche a causa dell'arrivo inaspettato di Gogò, ultimo rappresentante dei maldesi, precedentemente sterminati dall'efferato dittatore. Uno spettacolo compatto e maturo, abile nel dosare i passaggi aulici del testo col tono "assurdo" della situazione, mentre alla memoria tornano echi della rivoluzione dei garofani e un retrogusto musicale sudamericano.
Paolo Ruffini "Liberazione"
Merging, multinazionali, federazioni, integrazione verticale. Da questi fenomeni di reductio ad unum di sapore neomedievale è nata tutta quella fetta dell'immaginario futuribile che pronostica la società del futuro strettamente controllata in senso verticistico. L'impero e la repubblica di Guerre Stellari, il Ministero dell'informazione di Brazil, la puntata dei Simpson in cui Ned Flanders è il dittatore del mondo futuro. Società in cui la contestazione si polarizza tra l'intimistico e l'esplosivo, in cui la saturazione soffoca forze ancestrali e rabbie millenarie che riemergono deflagranti. A questa galassia di suggestioni, che diventa sempre meno azzardato definire apocalittiche, ha attinto Marco Andreoli per il suo Il formicaio, messo in scena da Fortebraccio Teatro, dramma con formiche, amanti e dittatori in cerca d'Assoluto.
Rivista "Enzimi"
(...) Il racconto di Marco Andreoli intreccia suggestioni molto lontane tra loro, le cine-saghe spaziali di George Lucas e David Linch con stilemi narrativi che ci riportano alle storie di Gabriel Garcia Marquez, in un risultato originalissimo, perfetto, che dà vita ad un universo parallelo con leggi proprie, ma che ci rivela il nostro. Disorienta ed incanta, poi, l'allestimento digitale di Roberto Latini, fatto di voci siderali e irraggiungibili, di presenze estranee e familiari, di sensazioni chirurgicamente asportate dai nostri incubi più intimi ed ancestrali. Con quella sadica ironia che solo nei nostri sogni riusciamo a riservare a noi stessi. Sdoppiamo lo sguardo, assistendo ad un'ineluttabile regola di sopraffazione cosmica che trascende la sfera dell'umano per suggerirci il quid dell'umanità, nun confuciano ren inalterato e rovesciato dai fatti di tutti i mondi esistenti e possibili, laddove il signore non è nè morale nè intelligente, ma va oltre la moralità e l'intelligenza. "Il Maestro disse: 'Non mi affliggo che gli altri non mi riconoscano. Mi affliggo di non riconoscere gli altri'". (Confucio, Dialoghi, I, 16)
Francesco Di Giovanni "www.gigantidellamontagna.it"