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C’era una volta un muro. Un muro che separava la gente normale, dai “matti”, i cui mattoni erano costituiti da camice di forza, terapie farmacologiche pericolose, elettroshock e lobotomie. Questo muro è stato abbattuto nel 1978, grazie alla “legge 180”. Il testo   teatrale (finalista del Premio Riccione 2009) è dedicato proprio a Franco Basaglia, fautore di un grande movimento antipsichiatrico

e di una lungimirante legge che ha  trasformato i manicomi di una volta, da luoghi d’indifferenza, violenza e reclusione a luoghi di degenza e di cura. Luoghi  in cui il rispetto e la comunicazione hanno cominciato a riempire, in modo rilevante, il vuoto e il silenzio che avvolgevano gli ospedali psichiatrici  prima della legge. In scena una sola figura, un’infermiera, che racconta il suo percorso professionale e personale, compiuto, in trent’anni di servizio, grazie al movimento Basaglia. Un percorso di trasformazione acquisito nel sociale, attraverso riunioni collettive, fra infermieri e medici, in cui i problemi si affrontano dialogando e cercando le soluzioni migliori, insieme, a partire da una realtà molto diversa da quelle delle nostre comunità  virtuali, dove la gente non si incontra realmente. L’infermiera della storia, descrive luoghi e persone, con parole semplici, mescolando dialetto e italiano, in un ritmo che scorre in modo fluido, prendono vita, così, vicende commoventi, storie di donne finite in manicomio semplicemente perché diverse o perché qualcuno, un padre, un marito, un fratello, voleva liberarsene. C’è un piccolo accenno ai bambini rinchiusi perché caratteriali o senza famiglia, “su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”. La donna, infatti, tace, ci lascia immaginare, l’orrore che c’era dietro il ricovero dei bambini prima della legge Basaglia. Grazie al suo desiderio di migliorare, di apprendere la protagonista compie un percorso interiore, di consapevolezza, di crescita, che la spingerà, inoltre, a riflettere sulla sua stessa vita. Non solo ha imparato a fare meglio il suo lavoro ma è riuscita a fare la cosa più difficile: abbattere il muro che era dentro di lei, quello dei pregiudizi, della paura che non ci permette di capire di vedere l’altro nella sua storia, nella sua unicità. Quella donna, impegnandosi e rischiando in prima persona, ha abbattuto il “suo muro”, ha scavalcato i resti per scoprire il significato profondo della parola “umanità”, il senso di responsabilità nei confronti di una vita, di un’anima (per usare un’espressione cara a Basaglia). Sarti, autore del testo e della regia, con il suo teatro civile, ancora una volta, compie un percorso di memoria, ci invita a ricordare, a non dimenticare da dove veniamo, cosa abbiamo, con fatica, conquistato, e cosa dobbiamo a tutti i costi difendere e migliorare, perché nella vita si può sempre migliorare… La scenografia è essenziale, un grande telo, che rappresenta il muro, incombe su ognuno di noi, che cosa aspettiamo a farlo cadere? Giulia Lazzarini ci regala un’interpretazione intima, commovente come se stesse raccontando tutto a un’amica davanti a una buona tazza di thè. Alla fine il pubblico, in piedi, applaude una straordinaria interprete, una donna piccola e minuta che lascia alle sue spalle un grande segno. Da non perdere.

2 Novembre 2011
Muri. Prima e dopo Basaglia.
Con Giulia Lazzarini,  testo e regia Renato Sarti
Piccolo Teatro Studio Expo dall'1 al 6 novembre 2011
Scene e costumi Carlo Sala musiche Carlo Boccadoro, progetto luci Claudio De Pace
Produzione Teatro della Cooperativa, in coproduzione con Mittelfest
Con il sostegno di Regione Lombardia,  Progetto Next.  Con il sostegno della Provincia di Trieste.