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Luci di Donna è in scena al Teatro Argot Studio grazie alla direzione artistica di Alessandro Fea, regista, autore e anche compositore della musica originale e degli arrangiamenti dello spettacolo. Il testo è ricco di diversi spunti di riflessione sulla società italiana, sui limiti e le frustrazioni che distinguono il nostro paese in questi anni: i precari, i giovani senza un futuro lavorativo, la crisi economica, la classe politica corrotta, le morti bianche sul posto di lavoro, la mancanza di coraggio di mettere al mondo dei figli mancando la sicurezza lavorativa o uno stipendio sufficiente, uno stato sociale assente sia nella quotidianità che nelle emergenze, razzismo e violenza verso gli extracomunitari, divario tra Nord e Sud. Decisamente attuale e di grande respiro, il testo non ha paura di toccare anche una tematica tra le più scottanti:  la violenza sessuale, il tema centrala del dramma. Cosa fare se si scopre che l'aggressore fa parte del tuo contesto familiare? In scena ci sono quattro personaggi. Teresa è una donna vedova che ha un figlio adolescente che lei non riesce più a comprendere.  Il giovane, Lollo, è un ragazzo irrequieto che non riesce a superare il trauma della morte del padre e che sostituisce questo vuoto nascondendosi nel branco, nel gruppo di amici del suo quartiere di periferia. Si interroga su cosa vuole, sul suo futuro ma fatica a trovare risposte. Per far fronte alle spese, Teresa, non lavorando, in attesa della pensione del marito morto in un incidente sul lavoro, affitta le stanze del suo appartamento in una periferia di Roma a due donne: Caterina e Letizia.  Caterina è una giovane studentessa di medicina, viene da Cinisi, vicino Palermo, si è trasferita a Roma da poco e spera di crearsi un futuro nella capitale lasciandosi alle spalle un passato difficile, un padre repressivo e maschilista; la ragazza viene da un contesto culturale patriarcale in cui la donna non ha possibilità di affermazione sociale e se esce dagli schemi è ritenuta “una poco di buono”. Letizia, è una precaria, un insegnante disoccupata. I suoi genitori sono abruzzesi e sono degli sfollati dopo il terremoto del 2009. La ragazza vive da tre anni nell'appartamento ed è molto affezionata sia a Teresa che a Lollo, tanto da considerarsi parte della famiglia.  La messa in scena del registra appare come un susseguirsi di quadri scenici: buio in sala, entrano gli attori, luci in sala: si recita. E così via. La musica sottolinea il susseguirsi degli accadimenti. Tutto molto lineare e chiaro. Molto ritmo, grande energia degli attori in scena. Però ci sono degli evidenti nei da sottolineare. Spesso la recitazione è concitata e confusa come se le battute fossero recitate a soggetto, tanto che, in alcuni punti, gli attori non aspettano tra di loro l'aggancio per il proprio turno, segnalato da un gesto o da una parola, ma si accavallano tra di loro. Da una parte c'è il tentativo drammaturgico di mettere in scena tematiche forti, dall'altra la mancanza di una orchestrazione registica degna di nota. Se il recitare è qua e là trascinato, come si può dosare la parola, la tonalità, il gesto o dare un senso all'immobilità del corpo? Durante la sua performance, 'l'attore è come se partisse per un viaggio del quale fa relazione attraverso vari riflessi sonori e gesticolari indirizzati allo spettatore sotto forma di invito: questi segni tuttavia, devono essere articolati...ci vuole disciplina'. (Tratto da 'Per un Teatro Povero' di Jerzy Grotowski). Buio in sala. Poca luce. C'è Caterina in scena. La donna appare con il volto stravolto, illuminato da l'unico proiettore acceso. Il capello è sciolto e spettinato, la veste sgualcita e il corpo immobile. Lei guarda nel vuoto di fronte al pubblico.  Inizia il suo monologo “devo correre, … stanno arrivando....mi circondano.... sono tanti....meglio chiudere gli occhi”. Buio in sala. Improvvisamente entra in scena  la crudeltà della violenza sessuale, ma troppo improvvisamente perché l'attrice appare come se già avesse subito l'aggressione del branco prima di raccontarla. Il registro del monologo inoltre è tutto gridato.  Qualsiasi sussurro, lieve  movimento del volto o fremito del corpo viene comunque percepito dallo spettatore ed è nascosta lì, in una sfumatura, l'espressività. La grande gestualità, il gridare è ammesso certo, ma se il registro è tutto sopra le righe è come ascoltare sempre la stessa nota musicale e il  pubblico non a modo di soppesare ogni argomento e di immedesimarsi nei personaggi.  Luci di donna, sostiene l'autore, è dedicato a queste tre donne e al loro coraggio di affrontare tutte le divergenze di contesti sociali difficili ma, nel finale, tranne Caterina, che denuncia l'accaduto, di coraggio ne dimostrano ben poco e le loro scelte non sono condivisibili o quantomeno nobili; sia Letizia che Teresa conoscono chi ha aggredito la ragazza siciliana. L'applauso più convinto è per Ketty Di Porto che, con una recitazione più disciplinata, si è dimostrata maggiormente all'altezza delle tematiche trattate.

Lo spettacolo è in scena fino a 4 Dicembre
Teatro Argot Studio
La COMPAGNIA TEATRALE SOLIS presenta
LUCI DI DONNA
testo e regia: Alessandro Fea
interpreti: Ketty Di Porto, Michel Balducci, Ilaria Giambini, Emiliana Gimelli
musiche originale e arrangiamenti: Alessandro Fea
aiuto regia: Andrea Merenda
costumi e scena: Carla Tagliaferri