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Il teatro del racconto
a cura di Luigi Gozzi
Gabriella Bosco e Giorgio Cerruti
Portofranco editore L'Aquila 2005
496 pagg. € 20,00

Quest'anno L'Almanacco del teatro, apprezzabile e apprezzata iniziativa editoriale di Portofranco Editore sotto la direzione di Luigi Gozzi, punta la sua analisi su un argomento e su un contesto che da tempo conosce una diffusione ed una ribalta di tutto rispetto, ma che, a dispetto di questo o forse proprio a causa di questo, sembra finora essere sfuggito, non dico ad una defnizione univoca e condivisa, ma anche ad una descrizione che superasse le apparenze più esteriori e semplificatorie. È certamente stato, ed è tuttora, proprio di un certo modo di affrontare le tematiche della drammaturgia e della scrittura scenica quello di non sapersi o volersi sottrarre ad un legame intimo ed intenso con il “fare” della scena, e quindi di sfuggire ad intenti più analitici che tendessero ad usare categorie e schemi di identificazione inerenti dati di poetica se non di estetica teatrale. Bene, L'Almanacco 2005, di fronte a questa doppia sfida, nei confronti di un argomento ancora in qualche modo sfuggente e nei confronti di una consueta modalità di approccio a tali argomenti, sceglie di non sottrarsi e organizza una sorta di esplorazione all'interno della narrazione in teatro, o del teatro di narrazione o, come sceglie di chiamarlo, del Teatro del Racconto. Lo fa mescolando nel corso delle sue quasi cinquecento pagine, interventi di studiosi dell'argomento, come Gerardo Guccini e Renata Molinari, interviste a drammaturghi, anche estranei al teatro di narrazione comunemente inteso (Edoardo Sanguineti), e autopresentazioni di autori, mescolandoli dicevo con estratti o capitoli di drammaturgie, sia italiane che europee ed extraeuropee (tante che, non potendo citarle tutte, non faccio preferenze) che in qualche modo possono o si ritengono iscrivibili al teatro di narrazione, il quale così, più che un genere teatrale, come il vaudeville o la tragedia, appare una modalità di articolare la scrittura scenica e come tale assai sensibile e plasmabile secondo la mano che, appunto, la articola. Ne esce un quadro assai diversificato e vario, forse il più completo secondo il punto di vista sin qui esposto, del Teatro del Racconto, all'interno del quale, proprio perchè, in quanto Almanacco, direttore e curatore evitano di esplicitare o enfatizzare un punto di vista rispetto ad un altro, il lettore può non solo acquisire un approfondita conoscenza dell'argomento ma, soprattutto, conquistare gli elementi per una sua analisi, come dire, di secondo livello e costruirsi di conseguenza e kantianamente un “giudizio” sul medesimo. In effetti la narrazione ne appare come una modalità antica e intrinseca del teatro che a partire dalla crisi del dramma moderno ha tendenzialmente riempito il vuoto lasciato sulla scena dal dialogo, spesso anche riempiendo un vuoto di creatività che da tale crisi pareva nascere, ma ha comunque riportato il teatro nel suo luogo, che è la collettività ed è un risultato essenziale laddove il ricrearsi di questa collettività di senso, di questa pertinenza di significato, propria di ogni estetica teatrale, ha consentito il dispiegarsi di una rinnovata passione e creazione, anche nelle forme più lontane rispetto al racconto. Infine il lettore non mancherà di percepire come la dichiarata neutralità di direttore e curatori non avrà potuto del tutto mascherare la presenza di un filo rosso, di una idea di fondo, di una specifica interpretazione del fenomeno “narrazione” di cui L'Almanacco è stato insieme strumento e scopo e di cui ho cercato di dare, secondo il mio avviso, ragione. Vale pertanto la pena, riguardo a questo bel libro, rammemorare il leopardiano dialogo tra un Passeggere e, appunto, un Venditore di Almanacchi.
“P.: ...Coll'anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
V.: Speriamo.
P.: Dunque mostratemi l'almanacco più bello che avete
V.: Ecco illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.
P.: Ecco trenta soldi.
V.:Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; Lunari nuovi.”
Maria Dolores Pesce