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Dopo l'esordio di fine Novembre a Lamezia Terme, Capusutta, Compagnia, e merita già questo nome, nata dal laboratorio che la non-scuola di Marco Martinelli ha tenuto con le guide di Punta Corsara in quel di Calabria nel corso dell'anno, sembra pronta ad “arrevuotare”, a mettere a testa in giù altri luoghi ed altri teatri. Prima tappa il Valle Occupato di Roma dove, accompagnata dal Sindaco che molto si è speso per questa esperienza, è sbarcata, dopo una traversata contrastata, venerdì 16 Dicembre, in un singolare ma non casuale mescolarsi di due esperienze apparentemente lontane ma credo profondamente corrispondenti, sotto il segno comune di ribaltare gli schemi di un fare e di un produrre teatro spesso asfittici, anzi quasi rachitici. L'una quella del Valle Occupato tesa, infatti, a recuperare uno spazio sia fisico, il bello e piccolo teatro settecentesco al centro di Roma destinato ad una disastrosa ristrutturazione, sia di elaborazione culturale, al fine di sottrarre in qualche modo anche quello spazio virtuale alla schiavitù del denaro, che ormai sembra dominare ogni desiderio e tarpare ogni speranza. L'altra quella di Capusutta che una analoga operazione ha anch'essa cominciato, non da sola o dal nulla, peraltro, ma sul tracciato della precedente esperienza di Arrevuoto e Punta Corsara di Scampia e, ancora prima, sulle radici della non-scuola di Marco Martinelli e Ermanna Montanari, delle Albe insomma. E ha cominciato se vogliamo partendo ancora prima, direttamente dal recupero di una idea di teatro, di un fare teatro nascosta da anni di tradizione e autorefenzialità, un'idea che punta al recupero della drammaturgia come lingua dell'espressione collettiva, come sentiero di conoscenza ed insieme liberazione di spazi, di menti e di cuori. Avevo già avuto modo di scrivere come essenziale a questo recupero sia per Martinelli il rapporto con i classici non solo antichi, qui parla Aristofane, come elementi come dire più vicini alla scoperta di quella modalità per conoscerci ed esprimerci “insieme”. La drammaturgia di Marco Martinelli ed Emanuele Valenti, con il supporto della regia di quest'ultimo ed il valido aiuto delle guide della non-scuola, sceglie di immergere quel testo nel magma di una giovinezza e di una adolescenza confusa, travestendo quelle parole coi suoi linguaggi e quei gesti coi suoi comportamenti, offrendo a quella stessa adolescenza la sintassi per conoscere, per esprimersi e per comunicare, e così trascinando in un primo passo oltre l'oscurità anche la comunità cui appartengono. Un teatro che così cerca di divenire articolazione consapevole di una comunità prima sconosciuta anzitutto a sé stessa. Sono dunque sbarcati a decine questi ragazzi e queste ragazze, in conflitto e insieme alla comune scoperta di un mondo libero e liberato attraverso il femminile, dal denaro, dalla sottomissione verso una utopia quanto mai contemporanea pur se ideata più di duemila anni fa. E anche se non hanno potuto provare, sono riusciti a recuperare in un luogo nuovo e sconosciuto punti di riferimento, traiettorie e sintassi sceniche proprio perchè ormai interne alla loro adesione alla drammaturgia e ai suoi tempi straordinari. Sono sbarcati e hanno travolto i confini di quel teatro, trascinandoci con loro nella costruzione della rivolta e dell'utopia, nella gaia magia dionisiaca della danza che punta sempre verso l'alto e verso l'altro, perchè ne erano protagonisti, ma non protagonisti gelosi del ruolo e autoreferenti ma vogliosi di farci partecipi del loro stesso protagonismo. Certo i cultori di una certa classicità, un po' da museo forse, avranno o avrebbero storto il naso di fronte a ragazzi che piegavano e effrangevano il ritmo dell'espressione classica nella voglia incontenibile di gridare le loro parole, ma credo lo avrebbero fatto solo se assenti, lontani dalla percezione che non solo i sentimenti che correvano su parole diverse erano gli stessi ma anche che  tra loro comunicavano, dando sangue alle une e dignità alle seconde. I fortunati presenti non sembrano essere stati attraversati da dubbi, eravamo di fronte, nelle forme elittiche, singolari e innovative che spesso Marco, Ermanna e le Albe sanno insufflare nelle loro drammaturgie, ad un “teatro” vero. Lo spazio non mi consente di citare tutti i tanti protagonisti e forse non è nemmeno troppo importante, potrete conoscere i loro nomi consultando internet, io da parte mia spero che tutto questo sia un inizio importante per Capusutta oltre Lamezia e sia un ulteriore mattone per il nuovo Valle occupato.