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Anno nuovo, belle visioni. Il 2012 si apre con ottime prospettive sceniche, almeno per quanto riguarda alcuni cartelloni teatrali della città di Napoli. Che le attese si rivelino tali, questo ce lo chiediamo e auspichiamo tutti, ma per ora il rientro partenopeo è stato benevolo. Il  Teatro Nuovo di Napoli, dopo il grande successo di Chiòve, per la regia di Francesco Saponaro, ci regala un ottimo spettacolo che vede in scena e alla regia Andrea Renzi. Conosciuto al grande pubblico  come l’attuale vice questore Brandi dell’undicesima serie di Distretto di Polizia, l’attore regala agli spettatori napoletani un’interpretazione intensa e commovente che poggia su un testo di grande profondità e attualità. Dal 6 al 15 gennaio debutta L’IDEALE GRECO DEL BELLO, terza ed ultima parte di un lavoro di rielaborazione scenica iniziato 17 anni fa. Renzi si innamora del romanzo dello scrittore ceco Bohumil Hrabal, UNA SOLITUDINE TROPPO RUMOROSA, e ne realizza una versione teatrale che ha compimento proprio in questi giorni. Nel 1995 debutta a Bologna con la prima parte, L’UOMO DI CARTA, nel 2001 la seconda, HANTA E IL PARADISO DELLE DONNE, nel 2012 L’IDEALE GRECO DEL BELLO. Renzi e Hanta diventano un tutt’uno: il protagonista è simbolo di passaggi epocali, dalla fine dell’800 alle guerre mondiali novecentesche. L’attore e Hanta si fondono in un connubio scenico di grande importanza storico-culturale. La pressa meccanica lega indissolubilmente Hanta al suo lavoro, ne diventa amore, ossessione, spinta vitale. Ma ciò che nasconde una macchina, invisibile all’occhio degli spettatori e solo immaginata attraverso rumori e luci, diventa totalmente comprensibile proprio nelle ultime scene. Il protagonista lavora in una pressa di riciclo: carte, giornali, vecchi quaderni, libri. Tutto viene ammassato nella gabbia-tomba della cultura, tutto viene schiacciato, compattato. Hanta ha un fuoco acceso: la sua mente concepisce l’importanza di alcuni libri e rilegature che piombano in quel carcere. Sbattuti lì senza considerazione, grazie a quest’uomo riescono ad avere un ultimo anelito di vita culturale: dentro ogni pacco pressato e realizzato con carta di poco conto, pulsa il cuore di un libro prezioso. L’uomo decide di farne uno scopo di vita. Tante le simbologie che ci vengono subito in mente: i forni crematoi dei lager, la pressa delle grandi dittature di massa, la cultura e la bellezza di ogni mente umana che viene “impacchettata”, bruciata, arsa viva, l’appiattimento della libertà di conoscenza ed espressione. Ogni frase pronunciata dal protagonista, che Renzi sceglie di recitare con accento propriamente slavo in tutto lo spettacolo, costituisce una piccola perla di saggezza, di quella saggezza spicciola della gente non colta che scopre la cultura attraverso le letture di libri “speciali”, catapultati tra le voraci grinfie di una pressa compattatrice. Il mondo classico e i filosofi annaspano tra la spazzatura cartacea del piccolo tugurio in cui lavora Hanta,  riescono a respirare per un attimo grazie alle mani sporche di inchiostro e grasso che accarezzano le copertine più belle, le puliscono sul grembiule sudicio, “succhiando le frasi come una caramella”, piano piano, perchè la cultura ingurgitata velocemente diviene una sostanza vomitata senza essere assimilata. “L’uomo di carta”, ci accompagna nel suo ambiente domestico: una casa costituita da libri. Come se il resto non contasse nulla. L’unico accenno alle sue donne e ai suoi amori avviene proprio qui. Rimane impressa la piccola zingarella, interpretata da Giulia Pica, che lo accompagnerà nei suoi anni più felici, per essere poi deportata dalle SS. L’ombra fugace di questo colorato personaggio viene legato ai fili di un aquilone di carta velina, comprata appositamente, non riciclata, volutamente nuova. La bellezza di un ricordo, di un momento e di un’immagine si colora nelle menti degli spettatori attraverso la lettura di alcuni passi scritti in un diario dallo stesso Hanta. Non più meta teatro ma meta letteratura, il racconto nel racconto. La terza parte vede il crollo degli ideali del protagonista: l’amata pressa meccanica viene lasciata in mano a bruti operai che macinano qualsiasi libro. Hanta viene spostato nel reparto della pressa idraulica, il suo incubo: il nastro trasportatore delle catene di montaggio è un ennesimo simbolo di una società annientata. Lì sarà costretto a strappare violentemente il dorso ai suoi amati libri, in una ferocia che ricorda quasi lo scuoiamento di un essere vivente. “L’ideale greco del bello”, titolo emblematico, rimane nella mente del protagonista, che sogna, un giorno, di conoscere realmente la grecità studiata sui libri. Lui potrebbe davvero assaporare quel bello di cui si è cibato attraverso le anime dei libri. Mentre Pirandello, prima di morire, minacciava Cotrone e i suoi seguaci con I Giganti della Montagna, distruttori dell’arte, Hanta decide di morire nella sua gabbia di carta, con la mano nella mano dell’ombra della sua zingarella. Il sipario  fa scorgere a metà uno squarcio di scena, una lacerazione umana e un semplice uomo emblema dell’umanità.

UNA SOLITUDINE TROPPO RUMOROSA
6-15 GENNAIO 2012
TEATRO NUOVO NAPOLI
Teatri Uniti
presenta
Una solitudine troppo rumorosa
di Bohumil Hrabal
con
Andrea Renzi e Giulia Pica
scena e regia Andrea Renzi,
luci Pasquale Mari realizzate da Lucio Sabatino
suono Daghi Rondanini
aiuto regia Costanza Boccardi
direzione tecnica Lello Becchimanzi