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“Opera offensiva nei confronti di nostro Signore Gesù Cristo e dei cristiani”. Senza se e senza ma, la condanna del Vaticano arriva a pochi giorni dal debutto. E getta benzina sul fuoco alimentando la bagarre sullo spettacolo che la Societas Raffaello Sanzio porterà al Franco Parenti di Milano il prossimo 24 gennaio: “Sul concetto di volto nel figlio di Dio”. Da settimane la pièce di Romeo Castellucci e la Sala

di Via Pier Lombardo sono finite nel mirino di gruppi cattolici oltranzisti, che, turbati, ne reclamano la cancellazione. Forti dell’anonimato e dell’effetto risonanza  garantito dalla Rete, sui loro blog i contestatori minacciano di passare ai fatti, nel migliore dei casi, con preghiere riparatrici e sit-in davanti al teatro. In quel di Parigi, dove lo spettacolo ha fatto tappa lo scorso ottobre, è dovuta intervenire la Polizia; a Milano, per ragioni logistiche e di sicurezza, la Questura ha confinato le manifestazioni in Piazza Libia, a due isolati di distanza dal luogo della rappresentazione. Ma se la versione francese aveva fatto discutere per il lancio di oggetti non meglio identificati (escrementi? granate giocattolo?) contro il volto di Gesù raffigurato sullo sfondo (la scenografia è il “Salvator mundi” di Antonello da Messina), nel capoluogo lombardo lo spettacolo sarà proposto in forma ridotta. “Quella scena non c’è – ha dichiarato Andrea Ruth Shammah direttore del Franco Parenti – non per censura, ma perché esigeva la presenza di molti giovani e sia per spazio scenico sia per costi abbiamo due anni fa, non oggi, scelto la versione più economica offerta dalla compagnia. Quindi di cosa stiamo parlando? Possibile che a Milano, culla della ragione, forse ex, non si possa operare una scelta, discuterla, partecipare?” Poco incisivo, in realtà, l’invito “alla pacatezza” da parte della Curia milanese; anzi, dopo l’intervento del Cardinale Scola, il partito dei cattolici tradizionalisti capeggiato da Militia Christi e Italia Cristiana si è allargato a nuovi adepti come Risposta Cristiana, il Centro culturale Jeanne d’Arc, il Comitato no 194. Dal gruppo si smarcano gli studenti del Comitato San Carlo Borromeo che, pur contrari alla messinscena, prendono le distanze dai proclami di stampo antisemita scatenati dall’opera, considerata dai più integralisti addirittura “blasfema”. Ma sono giudizi fragili, fatti a priori, e che dimostrano tutta la loro inconsistenza sortendo esattamente l’effetto contrario, ovvero, biglietti esauriti per tutte le repliche.  Alla protesta montata sul web ha fatto eco, inevitabile, la carta stampata con pareri e opinioni di giornalisti, critici d’arte, medici, uomini di chiesa e politici. In rappresentanza delle Istituzioni, si sono espressi il Pdl milanese, che ha chiesto al Sindaco Pisapia di annullare le recite, e l’Udc che nella persona del deputato Luca Volontè, capogruppo del Ppe in Consiglio d’Europa, ha richiesto un’interrogazione parlamentare ai ministri della Giustizia, dell’Interno e dei Beni culturali. Di segno opposto la posizione di Stefano Boeri, assessore alla cultura milanese, che ha invece ribadito la sua solidarietà al Franco Parenti, alla Shammah e Castellucci.  La compagnia di Cesena, una delle realtà teatrali più accreditate a livello europeo, non è nuova a episodi di censura preventiva: sempre a Milano, nel 1990, un altro suo lavoro (“Gilgamesh”) era stato oggetto di un’accesa campagna denigratoria che, di fatto, costò al gruppo romagnolo la scomunica ministeriale (cioè l’esclusione dai finanziamenti statali) e l’esilio – pressoché totale – dalla piazza meneghina.  Ecco uno stralcio della lettera aperta scritta da Romeo Castellucci in seguito agli attacchi ricevuti: “Sul concetto di volto nel figlio di Dio” nasce come un getto diretto delle e dalle Sacre Scritture. L’azione teatrale vuole essere una riflessione sulla difficoltà del 4° comandamento se preso alla lettera. Onora il padre e la madre. Un figlio, nonostante tutto, si prende cura del proprio padre, del suo crollo fisico e morale. Crede in questo comandamento e fino in fondo sopporta quella che sembra essere l’unica eredità del proprio padre. Le sue feci. E così come il padre anche il figlio sembra svuotarsi del proprio essere e della propria dignità. Questo spettacolo è una riflessione sul decadimento della bellezza, sul mistero della fine. Non c’è niente di provocatorio, ma tutto quello che si vede, si sente e si prova, arriva dall’osservazione diretta della realtà. Invito pacatamente tutte le autorità di questa città a prendere informazioni da fonti attendibili e serie prima di esprimere pareri che avranno certamente un peso abnorme nel clima culturale già devastato di questo Paese”. Per concludere – se consentito – faccio mie le parole pronunciate dal critico teatrale Oliviero Ponte di Pino in apertura della conferenza stampa: “Premetto che non ho visto lo spettacolo, rivendico però il mio diritto a poterlo vedere e a poterlo giudicare con la mia testa. Nessuno può decidere per me cosa posso e cosa non posso vedere”.