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Un sole caldo e inatteso riscalda questo freddo pomeriggio milanese. Per arrivare al teatro Out Off attraverso in tram quello che nella mappa di Google è chiamato Chinatown, il quartiere cinese di Via Paolo Sarpi.  Insegne al neon, draghi e lanterne rosse, immagini di riso alla cantonese e pizze napoletane si susseguono lungo la via, negozi cinesi si alternano a negozi italiani, la convivenza non è senza problemi,

ma questo quartiere è un vero esempio di multiculturalità. I contatti fra le culture producono cambiamenti forzati ma anche cambiamenti voluti fortemente dai membri della comunità, spinte interne alla cultura stessa. E’ proprio quello che accade a Fatima, protagonista della storia “Mia figlia vuole portare il velo” una donna franco-algerina che ha lottato per l’integrazione, la libertà, l’emancipazione delle donne musulmane, e che improvvisamente si trova a dover affrontare una nuova realtà. Fatima è orgogliosa delle sue conquiste, sua figlia Jasmine, invece riscopre la tradizione: per ribellione, rivalsa, bisogno di protezione. E di colpo dichiara: “Andrò alla seduta di laurea con il velo, voglio portare il velo”. Queste parole sono come pietre, feriscono, paralizzano i preparativi per la festa di laurea, fanno crollare ogni certezza. La madre, cerca di dominare la delusione e tenta di convincere la ragazza. E’ un atto di revisionismo grave è un lunghissimo passo indietro nella storia, pensa a tutte quelle donne che hanno vissuto il velo come un’imposizione, con dolore, pensa alle bambine costrette a subire l’infibulazione. Il testo scritto da Sabina Negri è liberamente tratto da: “Lettera a mia figlia che vuol portare il velo” di Leila Djitli, giornalista di origine algerina che vive a Parigi. Il romanzo ha raggiunto la vetta delle classifiche francesi. La drammaturgia è agile, ironica e al tempo stesso drammatica, tuttavia in alcuni punti risente della difficoltà di  portare in scena un libro, il compito non è facile: i grandi temi del rapporto uomo-donna, dell’emancipazione, dell’integralismo, della fede, devono essere trattati in settanta minuti. Da dove nasce questo desiderio della ragazza qual è l’origine? La giovane sta per laurearsi in medicina cerca delle risposte sul senso della vita, e le trova nell’ortodossia della religione islamica, il senso di precarietà, l’incertezza nel futuro, la spinge a cercare un punto di stabilità, un centro, il velo rappresenta tutto questo. Due donne, madre e figlia, si scontrano e si confrontano e in mezzo a loro un velo che, in ogni caso, non riuscirà a separarle, prevale l’amore che le unisce e il desiderio di rispettarsi nella diversità. Molto intenso il ritmo e la voce di Caterina Vertova nel ruolo della madre, Haber ci regala la figura ironica di un padre che appare su un grande schermo, distante, lontano, estraneo. La giovane interprete Alice Torriani, recita con ritmo serrato e spesso con toni arrabbiati, sembra quasi una sessantottina. Lo schema della regia cerca di cogliere tutte le contraddizioni dei personaggi, nessuno ha la verità in tasca, la realtà è un prisma. Alla fine applausi per tutti. Tornando in pullman, mentre attraverso Via Padova, un altro quartiere multietnico, mi viene in mente una mia piccola alunna marocchina. Soffre sempre di mal di testa, a volte scoppia a piangere senza motivo, ha paura di dover portare il velo come la madre, mi dice spesso che ama i miei capelli liberi e vaporosi, forse Jasmine avrebbe dovuto conoscerla.

TEATRO OUT OFF   (Via Mac Mahon, 16,  20155 Milano)
da venerdì 18 gennaio a domenica 5 febbraio 2012
MIA FIGLIA VUOLE PORTARE IL VELO
di  Sabina Negri
regia  Lorenzo Loris
con  Caterina Vertova e  Alice Torriani
apparizione in video di  Alessandro Haber
musiche a cura di  Didier de Cottignies
scena  Daniela Gardinazzi
costumi  Nicoletta Ceccolini
progetto visivo  Dimitris Statiris, luci e fonica  Alessandro Canali
Produzione  Fondazione Teatro Fraschini di Pavia e  Teatro Out Off