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Forte del successo ottenuto soprattutto nei teatri toscani, in cui ha debuttato nel 2005, “L’armadio di famiglia” è arrivato anche a Roma, dove lo abbiamo visto nel teatro Ambra alla Garbatella. Scritto da Nicola Zavagli, lo spettacolo è messo in scena dalla Compagnia Teatri d’Imbarco di Firenze, animata dallo stesso autore insieme con Beatrice Visibelli, che è anche l’interprete principale della pièce. Un testo forte, valorizzato da una recitazione impeccabile, che potenzia la struttura solida del dramma. Nella vicenda di Clara e della sua famiglia si nota un perfetto equilibrio tra toni diversi, che toccano ripetutamente le corde comiche, pur raccontando la storia tragica delle persecuzioni razziali ai danni degli ebrei e della condizione di estrema povertà e disperazione della gente durante la seconda guerra mondiale. Al centro c’è il personaggio interpretato da Beatrice Visibelli: una levatrice che inforca la bicicletta sfidando il gelo e il coprifuoco, per far nascere i bambini di Firenze. Nella semplicità dei suoi gesti e nella banalità della sua vita quotidiana, Clara conquista la scena imponendosi con l’eccezionalità del suo dono: dare la vita. E il drammaturgo sottolinea questa aura che circonda il personaggio, concedendole addirittura un parto in diretta davanti agli occhi degli spettatori. Un momento tutto al femminile, che si svolge nella cucina di Clara, da cui vengono allontanati gli uomini, incapaci di condividere una sapienza tramandata da generazioni. Per questo, dopo aver portato alla luce il bambino, la donna deve occuparsi di restituire la vita anche alla puerpera, con quello che sarà il suo più grande atto di coraggio. Come sottolinea il canto di Chiara Riondino, Clara si fa madre di figli non suoi, sacrificando l’incolumità della sua stessa casa. La famiglia fagocita attraverso il suo spazio i due ebrei con il bambino, offrendo loro un rifugio in un nascondiglio cui accedere attraverso un armadio. Mentre gli eventi si avviano verso un’inevitabile complicazione, sulla scena emerge la reale natura dei rapporti tra i personaggi, si scoprono gli inganni a fin di bene del sarto Gaetano (Giovanni Esposito), i rancori del figlio Mario, la tragedia del padre, prigioniero di guerra in Grecia, che scrive una lettera drammatica ad un amico. Pur nella gravità dei temi rappresentati, “L’armadio di famiglia” mantiene una leggerezza che lo rende godibile, grazie all’interpretazione brillante di attori calati adeguatamente nei loro ruoli. L’insistenza sul dialetto fiorentino cui si unisce il napoletano del sarto contribuisce all’effetto comico, che si mantiene costante in uno spettacolo, che pure conosce momenti di alta tensione drammatica. La scenografia concorre a ribadire i cambi di registro, sostituendo all’interno familiare popolare minutamente descritto in cui si svolge tutta la vicenda, uno spazio solo allusivo, ricavato nel proscenio. A scandire le fasi della storia di Clara sono le canzoni di Chiara Riondino, che, quasi moderno coro tragico, svolgono una funzione di commento e di raccordo drammaturgico.