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Torniamo, dopo un lungo periodo di assenza trascorso ad inseguire la contemporaneità e la sperimentazione,  a sederci nella bellissima  platea del Mercadante, teatro Stabile di Napoli. Dall’8 al 19 febbraio in scena L’ABISSINA, PAESAGGIO CON FIGURE, testo di Ugo Chiti, che ne cura anche la regia. In scena Isa Danieli, ma non solo. La ricerca linguistica e culturale tocca i regionalismi toscani, sia nelle pronunce che nelle ambientazioni. Sono gli anni ’40 del nostro 1900 e dai vestiti, alle ambientazioni, fino ad arrivare ad accorgimenti scenici e a particolari scelte testuali, ci ritroviamo proprio dentro. Chiti sceglie la Danieli per interpretare un personaggio il cui “epiteto”, l’abissina appunto, diventa un elemento fondamentale, un contenitore storico che muove da un microcosmo regionale specifico, naturalmente poco conosciuto ai non toscani, per arrivare ad un progetto più grande. Nella Toscana di inizio ‘900 i meridionali erano definiti non terroni, bensì abissini. Chiti vuole delineare una storia della nostra Italia, lunga un intero secolo, attraverso  diversi testi. L’ABISSINA, in scena per la prima volta nel 1994, ne fa parte. La base storica è evidente ma la messa in scena ricalca un forte realismo nostrano, non volgare, ma quasi patriottico. Un vero e proprio “Paesaggio con figure”, come cita il testo, e che riprende un’immagine fondamentale dello spettacolo: il medico del paese dipinge due coniugi, due contadini, nella loro semplicità e quotidianità, nel loro realismo più poetico, così come è sonoricamente poetica la loro lingua bassa ma toscana, sullo sfondo delle campagne bruciate dal sole. I personaggi, in effetti, sarebbero comuni a qualsiasi storia da romanzo ambientato nel nord Italia post bellico, ma è proprio l’abissina, con figlia deforme al seguito, a stonare, a dare colore all’intera storia, a fornire quelle dissonanze che, musicalmente parlando, proprio agli inizi del Novecento, andavano di gran moda. Le scene sono costruite sapientemente, passando da uno sfondo rosso o arancione che colora gli esterni rurali, ad un grigiore cupo che macchia gli interni della casa di Lucesio, interpretato da Massimo Salvianti, un vecchio proprietario terriero, ricco e tiranno, cardine di tutta la storia. Se nelle ambientazioni campestri il riferimento pittorico ricorda il realismo italiano tra fine ottocento e inizio ‘900, da Fattori ai Macchiaioli, con un tocco di Courbet, gli interni borghesi , dalla casa di Lucesio a quella del medico del paese, ricordano fusioni tra stile fascista e dopoguerra da film americano. Lo stesso Lucesio appare come un personaggio mussoliniano dalle citazioni classiche, come i versi dell’Iliade che si ostina a recitare per coprire le parole di tutti coloro che gli stanno attorno e che, per motivi diversi, ne desiderano la morte. Isa Danieli scompone il ritmo freddo del testo con movenze, linguaggi partenopei, espressioni colorite completamente discordanti con tutto il resto.  Tutto lo spettacolo è scandito da scivolamenti di quinte mobili che danno movimento alla scena, caratterizzando i cambi di ambientazione e di tempo, ricordando le architetture e le rigide costruzioni di epoca bellica. Tutto l’apparato scenico e testuale è costruito su gerarchie di piani, ma non solo: la gerarchia sociale di un piccolo microcosmo è evidente. Lucesio è ricco, poco colto e senza eredi maschi, collocato sul letto-trono, al di là di una cortina di porte che lo separa dal resto del mondo. Il medico è il borghese colto, punto di mediazione e unione tra chi detiene il potere e il popolo. L’emblema del potere sopra gli affetti, della cattiveria e dell’arrivismo sopra il realismo quotidiano diventa metafora dei grandi totalitarismi di massa che sconvolgono la semplicità della vita italiana per ottenere ubbidienza. Il seme malato di questa nostra parte di storia produce solo figli deformi e morenti, così come i figli di Lucezio, che feconda le donne del paese come contenitori di una discendenza pretesa. Non solo l’eredità monetaria ma anche l’eredità genetica: l’imposizione di un unico IO su una comunità che viene illusa con la sete del denaro. L’abissina si accorge di tutto questo: recuperata giovane nel Sud Italia povero e distrutto, segue Lucesio per tutta la vita. Il suo “Avaro” sul letto di morte feconda le donne, ma solo una figlia, non riconosciuta, storpia ma viva, sopravviverà. Se la figlia dell’Abissina è ancora in vita nonostante il seme paterno malato, la simbologia profondissima di questo personaggio, interpretato da Barbara Enrichi, rappresenta la rivendicazione della madre. Il testo di Chiti è una scatola di ferro, liscia e fredda all’esterno, rigida, senza nessun eccesso. Isa Danieli, molto apprezzata  dal pubblico, rappresenta il personaggio che scalfisce questa superficie, come se stesse cercando di sopravvivere e reagire al torpore di una società sottomessa da paura e denaro.

L’ABISSINA. PAESAGGIO CON FIGURE.
Teatro Mercadante Napoli
8-19 febbraio 2012
L’Abissina
Paesaggio con figure
testo e regia Ugo Chiti
con Isa Danieli, Barbara Enrichi
e Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali, Massimo Salvianti, Lucia Socci
e con Lorenzo Carmagnini, Andrea Corti, Giulia Rupi, Cristina Torrisi scene Daniele Spisa
costumi Giuliana Colzi
luci Marco Messeri
musica originale e adattamento Vanni Cassori e Jonathan Chiti
produzione Arca Azzurra Teatro e ErreTiTeatro30