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Questa volta ho scelto la terra di origine. Dall’antica Fulginium sono sceso verso la grande piana e sono andato a trovare Valter Romagnoli, un drammaturgo che conosco da molto tempo. La sua scrittura non è  riconducibile  ad un genere teatrale. Si muove tra narrazione e  rappresentazione, tra favoloso e grottesco. Si apre alla ricerca di un proficuo rapporto di collaborazione tra il testo e la scena. Non assume   atteggiamenti moralistici, non ha la pretesa di cambiare il mondo, ma non perde l’occasione per insinuare valori sociali e culturali di grande pregnanza, direi elementari, anche se non semplicistici. La miscela linguistica su cui si fondano i testi che in questa sede prendo in esame è costituita da tre lingue: l’italiano, il latino e il dialetto del seicento umbro di area folignate, inventato in funzione espressiva, per niente folclorico. Le storie di Romagnoli spingono all’indietro nel tempo fino al medioevo per farci scoprire tensioni attive e presenti. Ecco, quello di non dare mai spiegazioni, ma di stimolare e attivare la interpretazione della “cosa” raccontata è un merito di primaria importanza che va riconosciuto all’autore.

"Mundialis rerum concatenatio” è una riflessione sulla corrispondenza tra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Un racconto che intreccia le figure di uno  scorticaro e di uno studioso di astronomia. Una narrazione in cui la parola si fa carne e rivela la capacità dell’uomo ad  acquisire conoscenze scientifiche fondamentali, indipendentemente dallo stato sociale a cui appartiene e dalla sua cultura. ”Il mestiere dello scorticaro è un servigio, una passione, è una vocazione come quella del prete”: se la porti nel cuore è in grado di convincere e mette nelle condizioni di comprendere cose assai complesse e complicate. “Grazie all’osservazione delle stelle ottenuta con il cannocchiale, gli scortichiari” compredono il “ sistema che colloca il sole al centro dell’universo”. L’autore fa buon uso, ma non solo in questo testo linguistico, della tecnica del frammento e del passaggio da un argomento all’altro senza apparente connessione logica. Il senso del racconto sta proprio nella combinazione e connessione interna dei frammenti e nella alogicità del transito.

Con “Il Passo di Caterino” siamo nel 1636. Caterino, ortolano sapiente, cammina “lungo il pergolato speculando le cannuccie, le bianchelle e li pastini”, piantati cinque anni prima, "riflettendo sull'utilità dei celletti forasepi e delle rondini che quelli ucelli con il becco si nutrono di insetti dannosi e liberano tutte le piante e l'aria dalli mali”, quando, in fondo al pergolato che conduce al ninfeo, vede il corpo disteso di Amorvena,  “dormiente, ma morta”.  Poco tempo dopo, salito sugli scalini di marmo dell'antico pozzo per prendere l'acqua, si affaccia “de visu all’orlo e, a lu funnu, sulli riflessi trasparenti, come un incubo”, vede  il corpo vestito di una damigella nobile, “nipote di messer Gentile, venuta da Roma a trovà ziesu, per villeggiatura di campagna estiva”. Nel mese di luglio, “dopo aver riguardato le rose e anche, per esse bravo, i pomi de terra, li scarciofoli, selleri, porri e petroselli”, trova una suora novizia impiccata nella colombaia e, si dice, stuprata. E che, “tutt'io li trovo li morti?”. Alle corte. In nome di sua santità terrena il pontefice papa Clementino VIII, Caterino Rapo, di anni 35, è ritenuto colpevole del triplice omicidio - donna, gentildonna e suora -,  lui, che non aveva mai toccato una donna, neppure con una frasca, e di aver tentato di uccidere con un bastone un ortolano suo coetaneo. Cosimo Cacetta assume la difesa di Caterino, ma il modo maldestro delle sue argomentazioni d’innocenza si risolve nella esibizione della prova decisiva di colpevolezza: le impronte di Caterino che il nobilhomo dice di aver trovato attorno  ai cadaveri delle donne. L’ortolano eccelso è condannato a morte  mediante impiccagione con “corda saponata”. Scoppia una rivolta. Il popolo è inferocito contro un commerciante che, dopo avere acquistato tutto il grano disponibile sul mercato -, è uscito e poi rientrato in città, pagando la gabella, per rimetterlo in commercio a prezzi altissimi. Un folto gruppo di persone, fra cui alcuni fornai, inseguono lungo le strade il commerciante e  un fornaio suo complice per farsi giustizia. Cacetta chiede di potersi confessare. Durante la confessione rivela di essere stato lui a uccidere le tre donne e a bastonare l’uomo. Chiede perdono e invoca l’assoluzione, contando sul segreto della confessione a cui è legato il prete, il quale – invece di pronunciare una dura reprimenda - gli riconosce il merito di una grande levatura morale, gli accredita un’autodenuncia per fatti non commessi e giustifica la reiterazione dell’atto di violenza come frutto di un esaurimento nervoso generato dagli studi troppo impegnativi. Durante uno scontro a fuoco, un rivoltoso colpisce  accidentalmente al petto Cacetta che si accascia a terra e muore dopo aver pronunciato la frase seguente: “Maior sum et ad maiora genitus quam ut mancipium sim corporis mei”…(“Sono troppo grande e nato per cose troppo grandi per rendermi schiavo del mio corpo”).

“Aba” è un atto unico incentrato sulla sbrindellata commemorazione, celebrata da un eccentrico Presentanarratore, in onore di Alberto Aba.

Chi è Aba? Quando è nato? “Aba Alberto – mi racconta l’autore -  è nato ai tempi del liceo quando tre compagni di classe, buontemponi, registrarono il suo nome in cima al registro di classe e in fondo quello di Zuzzu Zanaga. Il divertimento consisteva nel guardare l’espressione smarrita dei professori, soprattutto dei supplenti, quando chiamavano sia lui che Zuzzu all’appello. Tutto finì con la minaccia di denuncia da parte di una professoressa, essendo il registro di classe un documento legale, ma ormai lui esisteva”. E cosa significa Aba? “Aba significa essere al primo posto, dato che è difficile se non impossibile trovare in un elenco un cognome che possa stare prima. Aba riapparve quando lo conobbi, al secolo Botti Domenico, per tutti Mimmo, conducente di treni delle FFSS, ora Trenitalia. Avevo sempre asserito che Aba dovesse essere non solo il primo degli elenchi ma anche di tutto il resto e Mimmo lo era! Vedevo in lui un/il modello dell’uomo che rasenta la perfezione. Ateo con la sorella gemella suora, quasi sempre in tuta da lavoro, occupato nelle attività più disparate dove naturalmente eccelleva, badante perfetto dei genitori anziani sempre chiamati per nome, Pasqualina ed Eusebio, innamorato dall’età di 14 anni della stessa donna che sposerà a 44, dopo aver dichiarato la sua passione a 40. Insuperabile affettatore di prosciutti, cuoco sontuoso, bevitore impenitente, mangiatore da quattro canasse, falegname giuseppe, sportivo insuperabile, perito elettrotecnico, ex compagno di sinistra poi alla finestra per capire meglio le cose, pilota di bicicletta, moto, auto, treno, sotto la leva carrista, vero amico degli amici finché non se ne approfittano troppo, occhi piccoli, naso rubigno, alito pesante, fiero, spavaldo, allegro, antidepressivo naturale, presente sempre al momento giusto, risolutore definitivo di nuovi, nel senso ignorati, problemi”.

Alla commemorazione partecipano disparati e disperati personaggi che hanno conosciuto Aba.Tony Calzamara, un cantante inimitabile, un mito, vincitore del Festival della canzonetta con “Luna spenta”, che viene preso da crisi di panico ogni volta che comincia a cantare. Il signor Longoni da Monza che, con l’abilità precaria di prestidigiatore improvvisato, mette a rischio la riuscita dell’evento. L’Espesialista, onorato e rispettato da tutti per aver distribuito per 25 anni la posta in modo inappuntabile, che nel corso della commemorazione introduce argomenti così “espesiali” che non sembrano farina del suo sacco. E poi Olga, il primo amore troppo intraprendente. E Zelinda la maestra corrotta, che sottovaluta Aba figlio di operai ed enfatizza il merito di Zuzzu Zanaga. E che dire del Narrapresentatore o Presentanarratore che conduce la  commemorazione? “E’ un bravo conduttore, decisamente bravo, un  istrione, sì, ma si affida troppo alle sue doti d’improvvisatore” – dice il tecnico di scena, il quale lo critica per imprecisione, mancanza d’informazioni, disorganizzazione, e soprattutto per andare continuamente fuori tema, confondendosi con altri eventi, altre cerimonie, altre storie. “Bisogna essere più leali, più onesti, più corretti nei confronti di se stessi, degli altri – aggiunge  il tecnico -, e nella fattispecie del commemorato Aba Alberto”. Il Narrapresentatore ritiene che il giudizio abbia il difetto della esagerazione: “…sono piccole mancanze, sono peccati veniali…come lo zio Gufetto che sgraffignava le merende ai bambini della colonia… come il trucco dei 12 fazzoletti alla fiera… come lo scherzo delle due coroncine del rosario fatto al barbiere”. “ E no – ribatte il tecnico -, si comincia così e poi… con questo principio sa che potrebbe succedere? Il salumiere vende la carta allo stesso prezzo del prosciutto… l’idraulico non rilascia la ricevuta… il funzionario delle imposte non rileva le evasioni fiscali… il bancario suggerisce al cliente il sistema per depositare denaro sfuggendo all’antiriciclaggio… l’edificazione di un ponte è assegnato all’impresa che ha versato la tangente… una ragazzina importata da un paese povero viene ridotta con la violenza alla schiavitù… il medico prescrive prodotti di industrie farmaceutiche che lo hanno invitato al congresso all inclusive in una rinomata località di villeggiatura… lo stesso medico rilascia dal telefono certificati di malattia… vengono impiantate valvole cardiache difettose acquistate dietro tangenti… il maresciallo si porta a casa un quarto di bue destinato alla mensa della caserma… l’esponente di un partito riceve denaro dal dirigente dell’impresa che costruisce la metropolitana… il benzinaio modifica la taratura agli erogatori di carburante… si ricostruiscono autostrade perché è stato lesinato il cemento… si truccano i concorsi… l’imprenditore si rivolge alla criminalità organizzata per far sparire rifiuti tossici e pericolosi…qualcuno ritira nei negozi la tariffa mensile di protezione … qualcun altro traffica droga o  esseri umani…trionferanno il sotterfugio… la furbizia… la forza… la disonestà…  e la colpa è solo ed unicamente vostra… vostra…vostra!”

Ma come è morto Aba? “Come il vecchio pellerossa Rospo di Fogna, salito in cima al  monte, scrutava l’orizzonte,  pronto a raggiungere le verdi ed   eterne praterie di Manitù dove avrebbe cavalcato un cavallo pezzato accanto a mandrie di bisonti, alci e pecore selvatiche vivendo una perenne stagione estiva e come il vecchio elefante maschio con le zanne spezzate si diresse in una grotta sotto una cascata, in attesa di diventare carcassa, cosi Aba decise di mangiare un pò di meno e di pensare ancora di più… trascorreva le giornate sulla sua comoda poltrona o passeggiando nel parco, intorno alla bianca fontana ellittica, ripensando a brani dei libri letti… ripeteva sovente… com’è bella la vita… com’è semplice… e la felicità non è una utopia. Un pomeriggio verso le cinque, cinque e mezzo, alla considerevole età di 88 anni, ribadendo il suo amore per la sua  donna, per la vita e per l’umanità intera, dopo un salutare starnuto, senza soffrire, si spense”.

E come merita di essere ricordato Aba? Con una festa, perbacco! Con il ballo di Teodomiro che ha inventato. Il ballo esplode, ma lascia irrisolta la diatriba tra il Narrapresentatore e il Tecnico, il quale vorrebbe che costui si attenesse rigorosamente ai fatti, esaltando le doti che Aba ha rivelato nel corso della vita. Gli scarti tematici continui del Presentanarratore derivano dalla simultaneità dei suoi pensieri. Dunque, la presunta incapacità del narratore a rimanere dentro il tema della commemorazione e dello spettacolo, e la  conseguente imperfezione dell’opera, non sono frutto d’imperizia professionale ma di una scelta che consente di caricare la struttura apporti non previsti e di determinare una nuova concatenazione di eventi a modificazione del risultato. Il procedimento è dettato da una metodica di scrittura consapevole. Da una abilità nuova. Se da una parte il magma linguistico porta con sé un forte potenziale d’improvvisazione guidata, dall’altra libera il processo creativo dal rigido asservimento alla ragione. Non è poco.