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È un testo che lascia emergere le qualità degli attori che lo interpretano, “Il coraggio di Adele” di Giampiero Rappa. Attualmente in scena al Piccolo Eliseo di Roma, dove ha debuttato in prima nazionale il 6 marzo (e  dove resta fino al 18), la pièce, di cui Rappa cura anche la regia, arriva dopo i precedenti successi di “Sogno d’amore” e “Prenditi cura di me”.  Teresa Saponangelo e Filippo Dini sono Adele e Lucas, due giovani che si incontrano in una baracca in mezzo alla campagna e che si trovano a condividere il freddo, la fame e la malattia, mentre fuori c’è una guerra imprecisata. I due si riparano dai bombardamenti  in attesa dell’arrivo degli alleati, e intanto affrontano un percorso che li porta a sciogliere molti nodi della loro vita. Lucas è ferito gravemente, quando arriva Adele,  che lo cura e scrive lettere interminabili all’innamorato lontano.  Ma come appare presto evidente, quello che Adele sembrerebbe fare per generosità e solidarietà è in realtà un disperato tentativo di non rimanere più sola e di avere un corpo caldo al quale stringersi mentre fuori cadono le bombe. Per questo la donna inizia ad accudire il malato e a procurare il cibo per entrambi, fino a che lui non è in grado di uscire dalla baracca. Il testo si articola intorno alla dialettica tra il fuori e il dentro della baracca. L’azione si svolge completamente fuori dalla porta, mentre dentro la vita scorre ad un ritmo diverso . All’esterno non ci sono solo la guerra e i bombardamenti, ma c’è anche la difficoltà di un’esistenza di compromessi  e di dura lotta per la sopravvivenza. La dinamica che si scatena all’interno prevede invece l’attuazione del più classico dei cliché per cui gli opposti – lei altoborghese lui proletario, lei sognatrice lui concreto e rozzo, ecc. – si attraggono. Ma il contatto, per quanto capace di lasciare segni duraturi, è breve, perché la coppia esplode, quando Lucas scopre come Adele si è procacciata il cibo. Le tensioni che si accumulano non trovano però uno scioglimento nel finale, che è quasi un atto dovuto alla circolarità della vicenda, che sembrerebbe ritornare in uno stato di tranquillità. La pièce gioca sull’effetto straniante dell’ambientazione in un tempo ed in uno spazio neutri  e non troppo connotati, in cui si parla di telefoni cellulari e di messaggi, ma si scrivono lettere, si allude al presente anche se tutto fa pensare ad uno scenario della seconda guerra mondiale. Del resto, nelle note di regia, lo stesso autore parla dei suoi personaggi come di “un Adamo ed Eva dei nostri tempi”,  in cui si cerca di ritrovare l’esemplarità di un rapporto mitico, fuori dal tempo e dai suoi condizionamenti. Lo spazio chiuso, d’altra parte, consente il potenziamento di gesti e sentimenti che esplodono in modo repentino. Le condizioni di indigenza estrema, la fame, il freddo, la malattia, la morte più volte sfiorata, esasperano le situazioni lasciando divampare ogni scintilla. Ma l’interpretazione attoriale riesce a non farsi coinvolgere troppo, mantenendo un atteggiamento equilibrato, senza scivolare, senza calcare troppo i toni, senza uscire da quel perimetro, anche solo ideale, disegnato intorno a Lucas e Adele.