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Cominciamo da un nome, anilina. E da un paesaggio, il Canavese, la zona a nord-est di Torino  luogo in cui si svolge l’inquietante storia dell’industria chimica IPCA di Ciriè; meglio conosciuta  come «fabbrica del cancro».  I nomi sono importanti. Possono dire molte cose e questo nome, anilina, nasconde il vuoto, la morte. L’anilina è una sostanza cancerogena provoca soprattutto tumori della vescica, ma anche tumori renali, cutanei, epatici e del sangue. Di anilina si moriva, all’IPCA di Ciriè, per molti anni dal 1922 al 1982, ogni giorno, 24 ore al giorno. L’IPCA di Ciriè era una fabbrica di vernici. L’Industria Piemontese dei Colori di Anilina, si installa  nel 1922 nel territorio di Ciriè, modifica il paesaggio con la sua tragica storia d’inquinamento ambientale e soprattutto uccide. In questa terra “priva di fulgidi passati, ma verde di riposi ristoratori, dove l'anima si adagia come una buona borghese”, (Guido Gozzano, L’altare del passato), si è consumato il dramma dei suoi operai: cancro. I dati dell’Inail parlano di 168 ex dipendenti deceduti per tumore alla vescica. La memoria dell'IPCA è racchiusa negli archivi della fabbrica e nella documentazione del processo intentato dai due operai: Benito Franza ed Albino Stella. I due operai intrapresero con coraggio un’inchiesta a titolo personale contro l’azienda, ottenendone la condanna e la successiva chiusura. Furono condannati: il proprietario, il direttore della fabbrica e il medico di fabbrica, quest’ultimo per non aver fatto valere le conoscenze già allora disponibili sulla tossicità delle sostanze utilizzate. La situazione interna allo stabilimento era estremamente pesante: le condizioni di lavoro inumane, la grande nocività e gravosità delle mansioni, erano estese e non sufficientemente conosciute ed indagate. Oggi il Comune di Ciriè ha acquisito il sito per bonificare la zona, recuperare l’area e soprattutto per conservare la memoria dell’azione legale intrapresa da Benito e Albino. Un guizzo, un salto di coscienza che ha messo in moto un paese, che ha permesso di riflettere sulle morti bianche. Un ecomuseo in luogo di un colorificio, affinché non capiti più di “andare a lavorare non sapendo di andare a morire”. Il reading è preceduto da un documentario di Daniele Caglianone. Entriamo nella fabbrica, ascoltiamo i racconti di chi ha lavorato, dei figli di Benito e Albino. Il video termina, nessuno applaude, solo il silenzio parla. “Non si deve morire per vivere”. Le parole del video ci lasciano senza parole. Entra in scena Laura Curino e racconto questa favola nera. Una favola che inizia con i colori, con una fata che ci mette in guardia: “Non è mai possibile dire all’inizio se qualcosa fa bene o male, si capisce solo col tempo, ma se non si vogliono sorprese, è necessario stare molto attenti”. Una favola che, a mano a mano, si tinge di nero, di colori proibiti. “Colori proibiti, che entrano nell’intonaco dei muri, sotto i pavimenti, come in circolazione nel corpo, si sostituiscono abusivamente al sangue, ne imitano il ritmo, si cambiano ad esso fino all’annullamento”. Il testo originale e suggestivo di Laura Curino e Luca Scarlini, va alla ricerca di tutte le IPCA sparse nel mondo dell’industria globale. Cominciamo con un nome e chiudiamo con un verbo: proibire. “Proibire dimenticare”. Perché nessuno più deve dire: noi non lo sapevamo. Azioni, paesaggi, colori. Dall’azione de “Il senato delle donne”, ai “Colori proibiti”. Si concludono così, le serate dedicate alla narrazione, programmate dal Teatro Ringhiera. Laura Curino, bravissima, ci regala un’altra storia per non dimenticare.

COLORI PROIBITI. Teatro Ringhiera Milano.
Favola nera di una storia vera: l’IPCA di Ciriè
di Laura Curino e Luca Scarlini. Con laura Curino
VIDEO
Non si deve morire per vivere
Testimonianza di Cinzia Franza, Daniele Stella, Paolo Randi
Soggetto e Regia, Daniele Gaglione
Documentario realizzato con il contributo della Provincia di Torino, Regione Piemonte.