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Marinella Manicardi torna a parlare della sua terra, di Bologna e del lavoro che ne ha costruito e impastato la cultura e l'identità  da sempre. Lo fa, con la collaborazione nel testo di Federica Iacobelli, con questa sua ultima drammaturgia che, prodotta da Arena del Sole-Nuova Scena, lei stessa ha diretto ed interpretato al Teatro delle Moline di Bologna dal 27 marzo al 22 aprile. Con lei in palcoscenico il bravo musicista Daniele Furlati, che interpreta al pianoforte le sue composizioni nello spazio organizzato da Davide Amidei, anche aiuto regista, con le luci di Vincenzo Bonaffini e il suono di Pierluigi Calzolari. Sceglie qui l'autrice di svincolarsi dal tradizionale teatro di narrazione per tentare con successo il teatro dei personaggi, ma trasformando in personaggio una intera città e costruendo intorno ad esso una storia, una trama che si dipana apparentemente leggera nei toni ironici, tipici di quei luoghi, ma per scavare nel profondo di un modo di essere e di viversi. È la Maria che stanca  di conservare la crema per il brodo sollecita e ispira l'invenzione della macchina impacchettatrice, è la Maria intorno a cui si dipana tutta la storia. Impastare è un verbo che ben si confà alla drammaturgia e, insieme, alla storia di una città che della mescolanza tra il lavoro manuale e il lavoro intellettuale (Università e Istituti Professionali), con un industria che fa 'cose', siano queste motori di auto o macchine impacchettatrici, ha creato quello che i bolognesi chiamo “lo sbuzzo” cioè la capacità di affrontare la contingenza per trasformarla, spesso, a proprio favore. Il buon vivere come conseguenza del buon lavorare, che, come scrive il foglio di scena, genera un modello non solo di convivenza, molto particolare e forse unico, ma anche una architettura, urbana fisica e psicologica, e produce il nuovo. Il lavoro non solo come luogo di identità ma come luogo scenico, un vero e proprio teatro virtuale, ove articolare i conflitti e così scioglierne i nodi. È brava Marinella Manicardi a mantenersi sulle sue corde ironiche e concrete, con una recitazione che mescola la capacità evocativa della parola raccontata con la mimica espressiva del volto e del corpo, ed è brava a non slittare mai nella retorica che rischia l'autocompiacimento. La aiuta, in chiave scenica, l'articolazione drammaturgica quasi da 'musical' da camera, favorita dagli spazi del teatro delle Moline e dalla colonna sonora di Furlati, che solo una volta interloquisce con Marinelli, quasi dando il la alla tonalità della pièce. Il pianoforte di fronte al tavolo da lavoro, vera e propria rappresentazione concreta di una dialogo tra due anime che si confrontano e si comprendono. Teatro pieno e grandi, ripetuti applausi per questa affascinante fatica della Manicardi.