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Voci concitate nella pioggia, urla. Come effetto iniziale per un spettacolo l’idea non è male. Sei uomini arrivano in una casa, trovano cibo, abiti, soldi e alcune indicazioni scritte su minuscoli  fogli di carta. Se vogliono rimanere nella casa e ripararsi dalla pioggia incessante, dovranno attenersi alle istruzioni dei padroni, tre di loro svolgeranno il ruolo di guardie e tre di carcerati. La sfida ha inizio. I protagonisti s’immedesimano nel ruolo a tal punto che la casa isolata diviene territorio di soprusi e umiliazioni, in attesa dell’arrivo dei padroni. L’idea nasce da un  esperimento di psicologia sociale compiuto negli anni ’70,  dal professor Philip Zimbardo, docente e ricercatore presso l’Università di Stanford. Egli suddivise un gruppo di normali studenti in “guardie” e “carcerati”. La ricerca nota come “Esperimento Carcerario di Stanford”, fu interrotta dopo soli cinque giorni:  i giovani si erano talmente immedesimati nei ruoli, da obbligare lo scienziato a sospendere tutto per salvaguardarne l’incolumità fisica e mentale dei soggetti. Zimbardo, in seguito elaborò la sua teoria dell’ “approccio situazionale” ai fenomeni umani: «l’uomo è estremamente vulnerabile di fronte al potere dell’Autorità, sotto qualsiasi forma essa si manifesti. Le pressioni esercitate da una struttura autoritaria su gruppi di individui, hanno il potere di indebolirne le capacità critiche e di trasformare persone miti e solitamente ritenute “morali”, in efferati carnefici privi di scrupoli e rimorsi, perché psicologicamente indotti, con la somministrazione di stimoli corretti, a delegare le responsabilità degli atti compiuti a qualcosa di più grande di loro, un’invisibile e potente Autorità». Il Testo, finalista al Premio Riccione-Tondelli 2011, nasce da un progetto, tra l’altro vincitore del Premio Giovani Realtà del Teatro 2010 e dall’impegno del Teatro Filodrammatici e dell’Accademia nel sostenere ex allievi della scuola. Al termine dello spettacolo gli attori rispondono ad alcune curiosità del pubblico. Scopriamo che la drammaturgia nasce dalla pratica scena. Bravi ragazzi! Esattamente come nelle migliori tradizioni del teatro. Un testo teatrale trova massimo sviluppo ed espressione proprio nell’attività scenica, nella lettura pratica, il testo deve saper “stare in scena”, come qualsiasi buon attore. E’ proprio vero. Lo scrittore di teatro  anche quando non è direttamente coinvolto  in una produzione teatrale non scrive senza la prospettiva immediata di vedere vivere i propri personaggi. Brecht sosteneva spesso che non si può distinguere un autore creatore del testo, dall’uomo di teatro che lo mette in scena. Shakespeare scriveva per una compagnia di attori, Molière sapeva già chi doveva dar vita a i suoi personaggi. I giovani attori di Effetto Lucifero, abili e convincenti nel reggere la finzione,  dimostrano di aver ben compreso una delle lezioni fondamentali dell’arte scenica. Nella pratica andrebbe, tuttavia, ricercato un maggior senso ritmico, in alcune parti della rappresentazione, se ne sentiva la necessità. Ma questo gruppo di giovani talenti, ha molto tempo davanti tante repliche per riuscire a trovare dinamicità e giusto ritmo, proprio continuando a “fare teatro”. Il finale senza parole, con luci che sfumano lentamente nell’attesa dei Padroni che non arrivano, è un suggestivo omaggio al teatro di Beckett. In ognuno di noi c’è un forte desiderio di comando, di potere. Stiamo in guardia, non facciamoci sorprendere dall’ “Effetto Lucifero”.

2/ 13 maggio 2012
TEATRO FILODRAMMATICI
EFFETTO LUCIFERO
Drammaturgia Dario Merlini
Regia Andrea Lapi Dario Merlini, Umberto Terruso
Scene e costumi Chiara-Luna Mauri
Con Stefano Cordella, Daniele Crasti, Massimiliano Mastroeni, Dario Merlini, Dario Sansalone, Fabio Zulli
Co-produzione Teatro Filodrammatici e Òyes