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Sentite, cari lettori, quest'altro sogno “teatrale” che ha abitato in un  misterioso lasso di tempo nella mia coscienza qualche notte fa, insediandosi poi vivido nella memoria.

La scena del sogno è il castello rinascimentale  di Kronborg, ad Elsinore in Danimarca: si, il castello che ci riporta alla memoria Amleto; col mare su cui si rispecchiano le mura e i torrioni a poche decine di metri; e il canale che circonda le mura; e gli archi delle porte d'ingresso.

I protagonisti del sogno siamo io, regista italiano di formazione accademico-universitaria, invitato a progettare uno spettacolo, ispirato all'Amleto shakespeariano, estivo all'interno del cortile, e una delle mie attrici preferite e fidate, Sonia, di cui sono invaghito fortemente:  lei ha avuto una formazione da autodidatta, seguendo anche alcuni grandi e veri maestri della scena contemporanea.

ll dialogo, tra me e lei, è fitto, ed al contempo anche nervoso, con pause lunghe, come sipari che cadono, creando intervalli bui,  occupati senz'altro dal sonno fisiologico; comunque il succo di certi scambi di parole mi è rimasto integro nel ricordo, come quando, è un primo flash memoriale, immediatamente davanti la distesa marina, sotto un sole quasi abbacinante per quelle latitudini, abbracciandola delicatamente, le ho detto:
<<Sonia, te ne staresti qui, a vivere con me, per un tempo indefinito, una volta concluso lo spettacolo? Pensa: nel castello di Hamlet, in compagnia del più grande personaggio teatrale, e non solo, della modernità occidentale!?>>.
Sonia mi guarda sorridendo  ed un po' sfottente:
<<In compagnia solo di te, per essere precisi! Amleto sta nelle pagine a  stampa di tutto il mondo, non abita più qui! Comunque, vediamo come ti comporti, come verrà lo spettacolo, e poi come premio eventuale, vabbè, potremo pure provarci a vivere qui, in questa landa fredda e un poco desolata dell'Europa del Nord!.>>.
Un secondo lacerto memoriale del mio sogno consiste in una scena davvero strana: io e Sonia ci baciamo, appena varcato uno dei grandi portoni ad arco del castello, ma lei piange disperatamente, dicendomi: <<No, non potevo sostenerlo il ruolo di Ofelia: non posso sopportare che una donna giunga al suicidio per amore; io sono stata abituata da bambina ad ascoltare favole in cui la bella protagonista e il  principe alla fine coronano il loro sogno d'amore.>>.
Ed io: <<Ma Sonia, dai, che fai, finiscila di piangere così: sono storie di favole e di teatro, queste che dici! Ma non è la vita, eppoi io ti amo, non l'hai ancora capito?>>.
<<No, non potremo mai amarci, sarà sempre e comunque il teatro a dividerci, a separarci: ieri, durante la prova, ti ho odiato, si, odiato: hai distrutto giorni di lavoro, di esercizi che ho dovuto affrontare, per assumere determinate andature nel camminare e nell'inginocchiarmi, e a te non sono minimamente piaciute: mi hai distrutto!>>.
Questa volta son io a vedermi piangere a dirotto, come un bambino, e maledire il teatro, che vedo come un  nemico perfino dei miei sentimenti privati e personali.
Un altro flash mi vede dialogare con un dirigente del municipio di Elsinore, l'equivalente di un nostro assessore in Italia. Mi dice, in un inglese molto maccheronico:
<<Signore, le raccomando di tener presente, nel preparare lo spettacolo ispirato all'Amleto, che alcune scene verranno poi regolarmente riproposte ai turisti da una compagnia giovanile amatoriale che seguirà fedelmente la sua messinscena. Le ribadisco che questa è una delle finalità prioritarie di questo progetto, per cui la prego di seguire schemi rappresentativi lineari e di pronta fruizione per un pubblico medio. Altrimenti si rischia che la municipalità decurti la sovvenzione!...>>.
Mi ricordo  che nel sogno ho replicato come mai farei nella vita, sentendomi fortemente offeso, e gridando parole confuse, come fuori di testa:
<<Ma come si permette... burocrate dei miei coglioni!... Io non ricevo ordini sul mio operare artistico!... Chi se ne frega dei turisti!... Il vero teatro non serve più come espediente ricreativo!... Mi sono rotto le palle di seguire amministratori e politici, solo perché ci danno le sovvenzioni!Se il mio, il nostro spettacolo, non vi piacerà non ci chiamerete mai più!>>.
L'assessore è sparito dal mio campo visivo onirico!
Sogno ancora che Sonia mi accarezza, e mi consola, dopo quella sfuriata, mentre mi vedo piangere come un bambino.
Mi rivedo in un altro flash, mentre discuto con l'attore protagonista, Dany, che mi fa:
<<Ma  a te, che sei professore, che te ne frega di fare il regista, quando hai il tuo incarico universitario ben pagato, i tuoi studenti, i tuoi libri, eccetera eccetera!>>.
Ed io:
<<Lo faccio per avere un vero spazio di libertà, di resistenza allo schifo del nostro mondo postneocapitalista, per vivere relazioni interpersonali  vere ed autentiche! Tu pensi forse che il teatro oggi possa competere con altre espressioni più o meno artistiche di massa?>>.
<<No, no, non penso questo, però io mi accontento di piacere a quegli spettatori che vengono a vedermi, di offrirgli un paio di ore di svago. Non mi pongo problematiche di grande impegno etico, culturale, sociale!>>.
<<Questo atteggiamento, che, non lo nego, va per la maggiore, non porta lontano! Prima o poi le sovvenzioni finiranno, o si ridurranno drasticamente: resteranno finanziati gli spettacoli dal vivo, perché ci metto dentro anche la danza e la musica, funzionali al potere politico e amministrativo che gestirà le poche risorse: a questo punto chi ti garantisce che camperai ancora de 'sto lavoro?>>.
L'attore si allontana ridendo nervosamente, come se emettesse un suono spezzato di sistri.
In un altro passaggio del sogno, rivedo in flashback un breve momento delle prove dentro il cortile del castello, risentendo la mia voce dire:
<<Dany, quando ti rivolgi a Sonia, sii più ambiguo, devi trasmettere un doppio sentimento, di allontanamento e assieme di amore che avvicina, capisci?...>>.
<<Ci provo, ci provo!>>.
<<Provaci innanzi tutto col corpo: compi tutta l'azione del dono del mazzo di fiori, dall'inizio alla fine, cercando di evitare che un'ape grossa s'infili nel mazzo di fiori, rovinandoti l'atto del dono! Capisci?>>.
<<Ok, ok, ci provo!>>.
Rivedo Sonia ridere, involontariamente, è l'idea dell'ape che la porta a ridere, ma a me sta bene ugualmente, e mi sento soddisfatto.
Stranamente dello spettacolo vero e proprio non ho più tracce oniriche: niente applausi o fischi, niente complimenti, strette di mano, abbracci.
Mi rivedo, sempre nel sogno, seduto solo, sulla riva del mare, con il castello alle spalle, mentre la distesa marina si fa minacciosa, s'ingrossa, e le sue onde s'alzano scurendosi: mette quasi paura. Mi prende una leggera ansia, la sento pulsare al centro del mio plesso solare: vorrei tanto che Sonia mi stesse vicina, ma son ripartiti tutti, quelli della compagnia, e lei mi ha lasciato con un sorriso un poco triste e un'espressione contrita, come se volesse chiedermi scusa. Non ho il cellulare a portata di mano e non so dove l'ho lasciato; mi guardo attorno: nessun turista s'aggira nei paraggi, con quella minaccia di un gran temporale estivo; la luce s'impiomba, è corrusca, e mi sento davvero solo, freddo, scosso da qualche brivido;  stringo le braccia attorno al torace, e socchiudo gli occhi, percependo il rumore del mare che s'ingrossa: quasi mi assopisco, immaginando che Amleto mi venga a toccare la spalla, ma non quello shakespeariano, quello della storia, quello vero.