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Sulla carta c’era da immaginarlo che la serata conclusiva della Rassegna “Musica a Palazzo” sarebbe stata un trionfo: un’opera buffa allestita a Palazzo della Signoria, dopo tre appuntamenti concertistici di altissimo livello che avevano animato Palazzo Ripanti, Palazzo Pianetti e poi Palazzo Balleani. Ma il risultato è andato ancora al di là delle pur accese aspettative: domenica 6 maggio la Sala Maggiore di Palazzo Signoria è stato un vero e proprio teatro gremito, con posti esauriti ed anche numeroso pubblico in piedi lungo i lati e assiepato a fondo sala. Certo, il programma era di quelli che non potevano non richiamare attenzione e infatti il pubblico era non solo locale, ma anche dalle province di Pesaro e Macerata: “La Dirindina”, capolavoro teatrale di Domenico Scarlatti, rappresentato in forma scenica e appositamente allestito per gli spazi del Palazzo. A lungo considerata perduta, quest’unica prova di Scarlatti nel campo del teatro comico fu recuperata e riproposta all’attenzione moderna da Francesco Degrada nel 1968. Scritta per il Teatro “Capranica” di Roma nel 1715, questa “farsetta per musica” venne fermata all’ultimo momento dalla censura a causa del testo, che costituiva un’acuminata satira sia dei costumi del teatro in musica, che della morale ipocrita dell’epoca. La Dirindina è una deliziosa composizione che sta alle origini del genere oggi noto come opera buffa; essa delinea in poche scene una vicenda incentrata su tre soli personaggi, chiamati a rappresentare l’ambiente musicale settecentesco: Don Carissimo, maestro di cappella sciocco, pedante e bacchettone; la sua allieva Dirindina, giovane cantante tanto ambiziosa quanto mediocre; Liscione, “evirato cantore”, abile e spregiudicato. L’intreccio tratteggia, con toni oscillanti fra il realismo e l’aspro sarcasmo, un mondo visto nei suoi aspetti più cinici e ridicoli, compresi i vizi e le degenerazioni del teatro musicale: costituendo con ciò un importante precedente per Benedetto Marcello e il suo celebre pamphlet “Il teatro alla moda”, pubblicato nel 1720.
Applauditissimi interpreti ne sono stati la soprano Paola Quagliata (Dirindina), che ha offerto un equilibrio straordinario tra vivacità scenica e rigore musicale, sempre pienamente a suo agio con lo stile fiorito del primo Settecento; il basso buffo Lucio Mauti, per un Don Carissimo di grande caratterizzazione e voce assai corposa; il sopranista Angelo Bonazzoli, portatore di una “vis comica” travolgente oltre che di una sonorità sorprendente, certo non paragonabile a quella originale dei “castrati” dell’epoca, ma altrettanto di meraviglia per il pubblico d’oggi, grazie ai suoi sbalzi di ottava e alla grazia da “voce bianca” unita ad una potenza emissiva da voce virile. Raffinata l’esecuzione dell’Orchestra da camera del Teatro Lirico Sperimentale delle Marche, con il basso continuo realizzato al cembalo da Andrea Zepponi e al violoncello da Jacopo Mariotti. Apprezzatissima l’elegante regia di Gianni Gualdoni, che non ha lesinato momenti di puro divertimento e sonore risate, ma tanto raffinata e di gusto da divertire pur in modo sapido senza scadere mai nel “buffonesco” fine a sé stesso, come invece spesso accade di vedere negli allestimenti di opera buffa: molto curata nei dettagli –bellissimi i costumi disegnati e realizzati da Giuliana Gualdoni- e tanto oliata nell’interazione scenica dei personaggi da sembrarne lo svolgimento estremamente autentico e “naturale”.
Alla fine applausi calorosi e scroscianti per tutti gli interpreti, talmente convinti e insistenti da richiedere addirittura bis: che, ovviamente, a spettacolo concluso non si è potuto concedere. Prima dell’inizio Gualdoni, che è anche il direttore artistico della Rassegna, aveva ricordato al pubblico il valore storico della serata, in quanto prima volta in tempi moderni che il Palazzo ospitava un’opera, dopo che proprio quella stessa sala era stata anticamente il primo luogo teatrale di Jesi, sede di spettacoli pubblici istituzionali sin da metà ‘500, quando ancora non esisteva in Città una struttura teatrale specifica: certamente, per molti dei presenti, oltre che un magnifico appuntamento d’arte, la serata è stata effettivamente un significativo e importante recupero di radice storica.