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Dentro o dietro la storia ci sono sempre, anche se non solo, esistenze e dentro o dietro le esistenze c'è sempre, anche se non solo, un mondo di eredità affettive e inconsce, di sogni o incubi. Così anche dentro o dietro il teatro che quella storia e quelle esistenze rappresenta. Questa credo è la chiave con cui Mario Jorio affronta il Riccardo III di Shakespeare, aprendolo e quasi scassinandolo in una rilettura psicologica che è insieme inquieta e inquietante, forse oltre lo stesso originale del Bardo, riscrittura drammaturgica. E la costruisce, questa sua riscrittura, a partite dallo stesso allestimento scenografico, semplice ed insieme fortemente allegorico, una sorta di retro-palco teatrale, con strumeti e macchine di scena e di ripresa, che allude al chiuso del castello del principe di York accudito da due governanti-trasformiste, e che ci conduce al chiuso della sua mente attraversata dagli incubi del suo abbandono e dai lampi della sua crudeltà che prendono forma nei suoi più intimi fantasmi. La sua deformità non è dunque quasi mai rappresentata ma solo indicata nei suoi esiti esistenziali e anche di classe e storici, quasi a riproporre ipotesi kleiniane sulla ereditarietà e sulla sua influenza sui sentimenti e dunque sugli stessi comportamenti. La storia di questo giovane uomo, turbato e abbandonato, privato dell'affetto e dell'erotismo, si avvia così rapida all'epilogo tragico, prima e non tanto sul campo di battaglia, quanto nella sua mente che si arrende e non ha mercede. “Un cavallo è un prezzo conveniente per un regno”, forse non sufficiente per una esistenza diversa. La trama drammaturgica della scrittura di Jorio si appoggia così con abilità sugli inserti improvvisi del testo classico di Shakespeare e li utilizza efficacemente come snodi di una costruzione scenica attenta e fedele ma insieme assai originale. Lo svolgersi della drammaturgia è ben assecondata dalla secca regia dello stesso Jorio e dai tre giovani protagonisti, Federico Giani, un Riccardo III maturo nelle tonalità espressive mai enfatiche, Sarah Pesca e Alessandra Caviglia, compagne oniriche in continua trasformazione e abili a tenere la recitazione in bilico tra ironia e dramma. Una prova convincente quella di Mario Jorio che ha riscosso un giusto consenso dal pubblico.