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Scena e platea in un’area circolare, variamente configurabile entro un complesso architettonico polifunzionale e aperto a contributi multidisciplinari, all’insegna del confronto fattivo e versatile con la diversità. La quale, apportando elementi di eterogeneità, reca così in dote delle nuove ricchezze a chi la interroga e vi attinge vivamente. Tutto questo (e tanto altro) è DOM - La Cupola del Pilastro, la particolare struttura

su cui – idealmente e di fatto – s’incardina la densa audio-intervista che si può ascoltare in fondo a questo brano introduttivo, cliccando sull’apposita icona. Struttura che la compagnia Laminarie di Bruna Gambarelli e Febo Del Zozzo (www.laminarie.it) ha reinventato nel difficile Quartiere San Donato – periferia est di Bologna – ai fini di un intervento mirato e fecondo sul territorio grazie agli strumenti aggregativi, di stimolo della sensibilità e della comunicativa interpersonale insiti nell’arte teatrale. Arte che viene da loro declinata in maniera poliedrica, traendo linfa anzitutto dalle inquietudini ed esperienze della contemporaneità artistica (cinematografica, visiva, filosofica e musicale), con un incisivo lavoro altresì rivolto al pubblico dei bambini e degli adolescenti. Ma ponendosi allora in tal modo sfaccettato, va aggiunto come essa venga fatta rifluire dai suoi menzionati fautori in ambiti differenti o altrimenti contigui se non collaterali: dalla pedagogia infantile all’animazione disparata, dallo studio conoscitivo delle aree e architetture urbane al coinvolgimento partecipativo degli abitanti, in operativa interazione con altre realtà locali d’intervento sociale. Perché, come s’è accennato, travagliata è la storia del quartiere in oggetto, segnata da vicende criminali assurte ai cupi clamori della cronaca nel contesto di un generale degrado, fra ardui processi di assestamento e integrazione delle correnti d’immigrati – di molteplice provenienza ed etnia – che ne hanno infoltito la popolazione. Tuttavia, si è ben lungi dall’esaurire il quadro screziato delle attività promosse da Laminarie. Tra queste, vale la pena citare almeno la rivista tascabile intitolata “Ampio raggio”, di cui finora sono usciti quattro numeri più un fascicolo cartacei (oppure in formato pdf al sito www.lacupola.bo.it). Pubblicazione che, a mio parere, si distingue costruttivamente in quanto fa tralucere un’opzione tanto semplice quanto necessaria per tentare di emancipare la scena italiana attuale dalla sua atavica povertà teorica e dal suo essere vittima privilegiata della parcellizzazione del sapere che affligge la presente epoca telematica. L’opzione, cioè, di non limitare l’attenzione e la conseguente scrittura inerenti il teatro e i suoi dintorni alla sola cura degli specialisti, bensì di rivolgerle pure a quella di personalità e professionisti aventi altrove il loro campo precipuo d’indagine e azione. E trattasi di figure di tenore anche internazionale, così come cosmopolita è la spinta intellettuale e l’operato che contraddistingue i due fondatori della compagine bolognese. Sicché al lettore – di un tale ampliato prisma di scritti e scrittori – arrivano benefiche folate di un’aria capace di un soffio e un’estensione di maggiore portata, passibile perciò di spingersi più lontano e ben oltre certe circoscritte visuali e irreggimentazioni unidimensionali dentro cui, invece, tendono a dimenarsi le prassi di pensiero della maggioranza dei nostrani addetti ai lavori. Prassi oltremodo rinchiuse in una sorta di asfittica auto-cultura, perlopiù dimentica o distratta rispetto ai potenziali contributi positivi e di innovante apertura derivanti dalla riflessione sulle specificità e il linguaggio, propri alla materia teatrale, da parte di sguardi e menti provenienti da versanti e settori altri. Giacché o oggi ci si affida all’alterità o si è perduti dentro la dittatura di noi stessi, delle nostre monocratiche ipoteche pregiudiziali. Ed è una consapevolezza del genere, probabilmente, a tramare l’invisibile linea che attraversa e unisce i punti su cui io e Bruna Gambarelli conversiamo nell’mp3 a seguire. Dalla problematicità della realtà locale a quella non meno complicata di terre straniere, dalla drammaturgia dello spazio reale alla creazione di spazi d’immaginario atteso alla prova del riscatto, dallo scontento verso la critica teatrale odierna al bisogno di riattivarla a una ferace elaborazione di spiazzanti visioni e illuminate idee, si disegna un composito orizzonte dove c’è pure modo di fermarsi un attimo a osservare e commentare uno degli ultimi spettacoli della compagnia: IMPERSONALE, viaggio senza parole nel mistero di una coppia di distinti esseri (o essenze) abitanti il teatro nudo di un’esistenza da costruire e inventare; dove lo scarto delle differenze che sempre più – nel mentre – si rivelano fra i due, schiude in realtà la breccia al passaggio di un loro possibile verace incontro, ove ritrovare l’abbraccio combattuto di una reintegrata totalità libera da infingimenti, trucchi e apparati della mera rappresentazione.

 

 

 

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Foto Laminarie