La politica si agita. La teologia civile sta sveglia. In un saggio, apparso sulla rivista MicroMega, Gustavo Zagrebelski dice che nell’arco di un secolo si è passati dalla teologia sociale, alla teologia umana, alla teologia civile dell’era contemporanea. Dietro l’espressione gentile della teologia o religione civile cosa si nasconde? Intanto la volontà della Chiesa di offrirsi come collante interno alle società politiche in crisi, in pieno disfacimento politico, economico, etico e culturale. Infatti, o si fa la polis o si muore. La Chiesa ha perfettamente capito la situazione e fa l’offerta, che trova perfetta sintesi in una frase pronunciata a Parigi dal Papa, secondo il quale sarebbe necessario “Prendere una chiara coscienza della funzione insostituibile della religione per la formazione delle coscienze e del contributo che essa può apportare, insieme ad altre istanze, alla creazione di un consenso etico di fondo nella società”. Una sciocchezzuola.

Il ritorno ai primordi della Chiesa riporta al De Civitate Dei di Agostino d’Ippona – scrive Zagrebelski -, in cui la religione civile è trattata come pratica finalizzata non alla salvezza delle anime, ma alla cura del benessere e della felice convivenza dei popoli. Condizioni, che le democrazie liberali non garantiscono e che sono sottoposte all’attenzione dei governanti come atti di amicizia e di generosità. Dalla salvezza delle anime si passa alla salvezza delle società “materialiste, disgregate, disperate, nichiliste, egoiste, prive di nerbo morale, prede di pulsioni autodistruttrici, giunte “ad odiare se stesse”: questa è la “vibrante accusa del magistero cattolico”. La Chiesa dal palcoscenico del granteatro si chiama fuori dai mali del mondo, criminalizza governanti e governati, si candida alla risoluzione dei problemi terreni attraverso lo strumento miracoloso della teologia civile. Le società sono imperfette. Di più, sono fallimentari su tutti i versanti e l’ordine (che è un disordine) civile non ha la capacità di trovare soluzioni efficaci.

Questo è - in tutto o in parte -, vero, ma non autorizza un “ordine” ad entrare “in un altro ordine”, in barba al Concordato (per quanto ci riguarda) e alla laicità dello Stato. Il religioso, facendosi onnicomprensivo, tende a sostituirsi al politico, decretandone la subalternità. E come sovrappiù, la funzione civile della religione dovrebbe “precedere la libertà”, cioè essere inculcata, prefigurando così un principio di autorità che metterebbe in discussione la libertà dello Stato e sotto tutela la Costituzione repubblicana. Ciliegina sulla torta: il ruolo di sovrintendente spetterebbe a “un Dio geloso” di tutte le altre religioni, che dovrebbero essere escluse dal godimento del privilegio riservato alla religione cattolica e sopravvivere in diaspora. E’ evidente che la religione civile nasconde dietro l’offerta di amicizia la volontà dell’intrusione e dell’occupazione dello spazio politico, sociale e culturale dei beneficiari. Un’invasione di campo bella e buona che rivela una chiara intenzione egemonica con la pretesa di garantire l’identità dei popoli assieme al loro benessere materiale e immateriale. Chi respingerà al mittente la proposta del Vaticano?

Il silenzio generale è stato assordante. Resta l’idea, che mi sembra buona per scrivere un testo teatrale d’impegno sociale.