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Siccome, malgrado ogni teorizzazione,  teatro e danza sono arti che continuano a svilupparsi nella affascinante concretezza del “qui” e dell’“ora”, nel dire di “Du.O”, la coreografia di Malou Airaudo (storica danzatrice della compagnia di Pina Bausch e coreografa in proprio a Wupperthal) che, prodotta dal Goethe Institut di Palermo, ha debuttato il 3 luglio scorso ad apertura della XXXI edizione delle Orestiadi di Gibellina, dirette sapientemente dal regista palermitano Claudio Collovà, non si può fare a meno di notare come questo luogo (esattamente il Baglio Di Stefano, sede storica della fondazione Orestiadi) abbia mantenuto nel tempo una singolare e particolarissima magia: la magia di un luogo in cui arte contemporanea di respiro internazionale, grande poesia, ricerca teatrale e poi voci, segni e suoni delle culture del mediterraneo si fondono in un messaggio di solidarietà e cultura straordinariamente intenso e - ovviamente – da preservare, vivo e vitale, come una delle maggiori ricchezze che la cultura siciliana novecentesca abbia saputo produrre. In questo contesto s’è inserito perfettamente lo spettacolo di danza del quale diciamo: un lavoro di solida intensità questo “Du.O”, una coreografia in cui tutto (la regia, l’organizzazione della scena, le musiche, il concreto lavoro dei danzatori, Denis Kooné Kuhnert e Szu Wei Wu) sono posti integralmente – anche correndo il rischio di un certo manierismo - sotto il segno del magistero artistico della Bausch: ovvero, per provare a verbalizzare, la poesia cercata nel mistero del rapporto tra due persone (un rapporto amoroso certo, ma tormentato, un cercarsi e trovarsi per poi riperdersi e tornare ad accogliersi), la poesia trattenuta nel silenzio o nella cura minimale del gesto e rilasciata poi con limpida naturalezza, senza nervosismi, sbavature retoriche, patetismi; ed ancora: i corpi che si muovono sulla scena nella loro intensità espressiva, i colori che si mescolano, i segni della danza che s’intrecciano inestricabilmente e senza affettazione (quanta naturalezza nella break dance di Kuhnert!), gli elementi semplici (lo spazio, la pietra, l’acqua) della scena, la concezione spartana dei costumi, l’elegante impianto dei suoni (cicale notturne) e delle musiche (un brano di John Adams e dei segmenti delle colonne sonore dei film “Parla con lei” di Almodovar e “In the mood for love” di Wong Kar Wai), la meraviglia infine delle immagini mobili proiettate dalle ombre e dall’acqua. Il tutto senza mai ricercare la posa speciale, l’immagine che colpisca in quanto tale e che sia staticamente e astrattamente bella. Ecco, se un segno particolare dev’esser evidenziato in questo spettacolo, se un elemento si vuole rilevare che di questa coreografia sappia dare misura esatta e giudizio di valore è l’attenzione che Airaudo sa concedere al processo coreografico e alle sue spinte interne, ai fasci di energia che si sprigionano da ogni incontro dei corpi in scena, alle dinamiche piuttosto che all’effetto “bello” di ogni suo singolo segmento. E non è affatto poco, anzi c’è in tutto questo il segno più esplicito di un’arte che, superata ogni astratta metafisica, può continuare a dispiegarsi, con tutta la sua forza comunicativa, nel presente e nel futuro della società.