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Puntata conclusiva di resoconti dalla rassegna modenese. Dopo avere esaminato un’accoppiata di spettacoli stranieri, introdotta da considerazioni generali su problematiche e temi del festival, ora è la volta di completare la ricognizione occupandosi della DIVINA COMMEDIA di Dante Alighieri secondo Eimuntas Nekrošius e delle novità sceniche del Teatro Valdoca e del gruppo Gli Incauti. Volgendosi subito alla creazione del maestro baltico, se ne registra intanto la fisionomia parziale rispetto al capolavoro letterario da cui ha origine: lo spettacolo, ovvero, verte sulle prime due cantiche del poema, poiché la terza vedrà la luce il prossimo settembre al Teatro Olimpico di Vicenza dove il regista lituano è da poco direttore artistico. Il lavoro visto al Comunale di Modena comunque si snoda per duecentossessanta minuti, divisi in tre atti, che esordiscono su una scura scenografia dove risaltano un impenetrabile parallelepipedo orizzontale messo di traverso sulla sinistra e un grosso globo sul fondo a destra. Provenendo dalle oscurità retrostanti, i quattordici attori della compagnia Meno Fortas di Vilnius compaiono via via a dispiegare la loro abilità figurativa e motoria, entrando da soli o a sciami per disseminare il palco di oggetti allusivi e per dare vita a momenti d’assieme esplicanti il viaggio dantesco nell’Oltretomba. Essi restituiscono con vividezza l’agitarsi dei condannati ai tormenti dell’Aldilà, interagendo con il Dante di Rolandas Kazlas e il Virgilio di Vaidas Vilius sulle onde di un voltaggio fisico alquanto sostenuto. Gli spiriti sono a un tocco di dita, a contatto di pelle, altroché “non ti curar di loro ma guarda e passa”. La fisicità erompe sino a estroflettere il personaggio inatteso di un postino, il quale raccoglie le missive consegnate da tali spiriti al Poeta affinché le rechi ai vivi dell’Aldiquà. E a noi – seduti giusto al di qua, in platea – l’uomo reca notizie e spiegazioni, porgendo elementi di raccordo e sintesi utili a far procedere la narrazione con poche parole, senza che si debba inscenare tappa per tappa il testo originale. La Commedia perciò si condensa e riassorbe in sé il suo peculiare sostrato di superna filosofia e complessità, puntando semmai a un’esposizione per sommi capi scanditi sulla scia di ritornanti dinamismi e movimenti di giocosa fantasia visiva. Si dimensionano così dei vortici di attrazione energetica e ottica nello spazio, in grado di coinvolgere specie nel corso del primo atto, che risulta assai mosso e spesso divertente al confronto di quello successivo, rivolto piuttosto a fare emergere una sfumatura politica della messinscena. Il coro di interpreti con cui si rapporta la coppia protagonista, cioè, è come se venisse maggiormente responsabilizzato nel fattivo sviluppo rappresentativo dei versi del gran libro. Voluminoso libro – ben visibile in ribalta – che passa di mano in mano per delle inventive letture a voce oppure per continuare a ispirare animate sequenze di vario malaffare del potere secolare e spirituale, fra meschinità e vane ambizioni, sventure d’anime e misfatti storico-esistenziali. A un certo punto, Dante lascia temporaneamente sola tale polis d’individui creatori, dimodoché prosegua autonomamente l’elaborazione scenica di una simile congerie di temi e vicende. Al rientro dalle quinte, pertanto, l’autore potrà reinserirsi consapevole d’avere instillato un vivo senso di responsabilità in chi sta attorno; soprattutto riguardo le opportunità d’intervento creativo e felicemente risolutivo che ognuno può liberare nella storia tribolata del mondo e degli umani. Giunge allora puntuale, a far vibrare le corde del cuore, il semplice appello a non abbattersi che il protagonista fa risuonare appena prima di ritrovarsi con Beatrice alle soglie del Paradiso. Un bellissimo finale dove i due riescono a ricongiungersi, sebbene con spiritosa fatica tra le gag di un tiro alla fune che assottigli le distanze e un’infilata di baci trasmessi per interposta persona. Perché, alla fine, siamo tutti collegati l’uno con gli altri nell’inventare il gioco avventuroso dell’esistenza che, solo se si apre alla condivisione fra sensibilità e anime diverse, ha modo di espandere le proprie recondite forze e risorse di positiva affermazione; dunque oltre i confini limitanti delle identità, e di quel che ogni soggetto crede di essere una volta per sempre, ossia al di là di quelle depotenzianti espressioni d’introiettato esilio che “Nel mezzo del cammin di nostra vita” sono da affrontare, conoscere e superare.
Una più svelata riflessione sul senso smarrito del soggetto e dei suoi sfuggenti lineamenti odierni fuoriesce invece dal dittico del Teatro Valdoca O TU REALE, SCONTROSA FELICITÀ (foto di Muna Mussie) - prima parte in due movimenti della Trilogia della gioia. Nel movimento iniziale di questo spettacolo, Muna Mussie mette in scena due performer pressoché identiche – le gemelle Giorgia e Muriel Del Don – sottoponendole a una serie reiterata di riconoscimenti reciproci e di ricognizioni del nudo quadrato circostante, delimitato ai lati da una terna di piantane luministiche e da un fondale rettangolare rivestito di carta bianca. Le ragazze camminano attorno con passo ritmato e direzionati geometrismi, toccano e indicano i rispettivi punti del corpo menzionati di volta in volta da una voce off in inglese, la quale chiama anche ad altre gestualità consimili e si giustappone al resto di suoni diffusi via stereo, formando così una colonna sonora senza soluzione di continuità. Un panorama screziato e variabile di rumori, musiche e voci su cui le giovani articolano la loro ripetitiva sequenza di freddi gesti e camminanti direttrici spaziali. Coreografia, dunque, protesa a fissare ossessivamente tracciati e punti d’individuabile realtà fisica, contrapposti all’intangibile magma vociante e rumoroso di un fuori campo che rimanda ai condizionamenti seducenti della Storia e della Società. Peccato che l’impianto risenta di un eccesso di astrattismo rispetto al dato di mobile corporeità, oltremodo raggelata da esso. Il cortocircuito fra i due poli, quindi, salta e nessuna scossa sopraggiunge a innescare la connessione di entrambi affinché la tensione analitica si completi e raffini al vaglio delle ragioni di un’emotiva sensitività. Sull’elogio accorato dello stare fermi, diversamente, Cesare Ronconi tesse la regia del secondo movimento dell’opera, cadenzato sui versi di Mariangela Gualtieri e sulle composte movenze a fil di danza di Leonardo Delogu. Quest’ultimo incarna una meditabonda e sacrale creatura, di cui s’ode la voce registrata che distilla delicatamente le vibranti parole della poetessa, accolte in un abbandonato antro di neri manti e oggetti residuali. Un ricettacolo scenografico imperniato su una grande lente deformante che ribalta l’immagine dello spazio stante innanzi, dove s’effonde il canto inconsueto a un’agognata immobilità capace di affinare un’edificante concentrazione sulla naturale disposizione ricettiva di tutti gli esseri terrestri. Ossia, quanto permane a renderli intimamente pronti e attenti alle vitali possibilità del divenire, anche nelle cocenti derive a cui è sottoposto da tempo immemore il Creato.
La questione dell’identità – per chiudere – e di una salda verità abile a orientarne l’esistenza, sostanzia pure HAMELIN: spettacolo diretto da Luca Toni per Gli Incauti con esiti però incongrui. La metateatralità della pièce di Juan Mayorga, difatti, è sospinta dagli interpreti su un versante d’immedesimazione troppo pronunciato che ottunde l’assetto straniante del discorso testuale. Il quale punta soprattutto a mostrare come il linguaggio possa corrompersi e ammalarsi nel corso della costruzione della sua comunicazione e del suo passaggio tra diversi interlocutori interessati. Ma la recitazione impostata degli attori, intesa ad accentuare la drammaticità degli eventi e dei personaggi per toglierli da un piano meramente riflessivo, in realtà grava l’insieme di toni e soprattoni, di tratti marcati e trovate un poco enfatiche. Ne consegue un sovraccarico soffocante l’incisivo schiarirsi dell’argomento chiave, mentre gli aspetti di sollecitazione recitativa sviano e risultano superflui su figure che, entrando e uscendo da ruoli e testo, paiono semmai più delle funzioni espressive in cerca di un’organicità idonea a dar loro maggiore corpo e costrutto nel marasma che li circonda.


DIVINA COMMEDIA
di Eimuntas Nekrošius da Dante Alighieri
Traduzione in Lituano: Aleksys Churginas.
Scene: Marius Nekrošius.
Costumi: Nadežda Gultiajeva.
Luci: Džiugas Vakrinas.
Musiche originali: Andrius Mamontovas.
Sound Designer: Arvydas Dūkšta.
Interpreti: Rolandas Kazlas, Vaidas Vilius, Darius Petrovskis, Simonas Dovidauskas, Marija Petraviciuté, Beata Tiškevic, Julija Šatkauskaité, Ieva Triškauskaité, Milda Noreikaité, Pijus Ganusauskas, Vygandas Vadeiša, Paulius Markevicius, Audronis Rukas, Remigijus Vilkaitis.
Produzione: Meno Fortas.
Coproduzione: Stanislavsky Foundation - Moscow, Baltic House Festival - St. Petersburg, Lithuanian National Theatre.
Modena, Teatro Comunale Luciano Pavarotti, 26 e 27 maggio 2012.

O TU REALE, SCONTROSA FELICITÀ
prima parte in due movimenti della Trilogia della gioia.
– Primo movimento –
Regia: Muna Mussie.
Intepreti: Giorgia e Muriel Del Don.
Video: Gian Luca Mattei.
– Secondo movimento –
Testo: Mariangela Gualtieri.
Regia, scene e luci: Cesare Ronconi.
Interprete: Leonardo Delogu.
Produzione: Teatro Valdoca.
Modena, Teatro delle Passioni, 26 e 27 maggio 2012.

HAMELIN
di Juan Mayorga.
Regia: Simone Toni.
Interpreti: Luca Carboni, Federica Castellini, Marco Grossi, Diana Manea, Stefano Moretti, Giulia Valenti.
Scene: Alessandra Gabriela Baldoni.
Luci: Fiammetta Baldiserri.
Musiche: Giacomo Toni.
Produzione: Gli Incauti.
Prima rappresentazione assoluta: Modena, Teatro delle Passioni, 1 e 2 giugno 2012.

Links per info su repliche e altro:
www.viefestivalmodena.com/
www.emiliaromagnateatro.com/
www.teatrolimpicovicenza.it/
www.menofortas.lt/en/
www.teatrovaldoca.org
www.incauti.org