Il drammaturgo per chi scrive? Il drammaturgo non si rivolge al pubblico: scrive il testo linguistico per l’attore/danzatore. Intanto va detto che “la rigida distinzione – come scrive Eugenio Barba nel Dizionario di antropologia teatrale –, fra il teatro e la danza, caratteristica della nostra cultura, rivela una ferita profonda, un vuoto di tradizione che rischia continuamente di attrarre l’attore verso il mutismo e il danzatore verso il virtuosismo. Questa distinzione apparirebbe assurda ad un artista orientale, così come sarebbe apparsa assurda ad artisti europei di altre epoche storiche : a un giullare o a un comico del Cinquecento”. I disinvolti passaggi dal discorso sul teatro a quello sulla danza non devono dunque suscitare perplessità o stupore . “I principi di vita – aggiunge Barba - di cui andiamo in cerca non tengono in alcun conto le nostre distinzioni fra ciò che definiamo teatro o mimo o danza. Uno dei principi attraverso cui il corpo dell’attore e del danzatore rivela la sua vita allo spettatore, dunque, in una tensione di forse contrapposte, è il principio dell’opposizione (la danza delle opposizioni si danza nel corpo prima che con il corpo). Attorno a questo principio che ovviamente appartiene anche all’esperienza dell’attore e del danzatore occidentale, le tradizioni codificate dell’Oriente  hanno edificato diversi sistemi di composizione” .   

La seconda questione di fondamentale importanza è questa: il drammaturgo che scrive un testo linguistico prefigura un rapporto privilegiato con l’attore/danzatore (un attore/danzatore opportunamente allenato), il che vuol dire in altri termini che è orientato a stabilire un rapporto di collaborazione tra testo e scena. Ma perché questo risultato si verifichi è necessario che lo scrittore scriva prima il testo fisico (senza battute, incentrandolo sulle azioni fisiche) e poi elabori il testo linguistico, fondato su un sistema di segni verbali e non verbali. Dunque, il drammaturgo scrive il testo linguistico pensando all’attore/danzatore e cominciando con la scrittura di un testo fisico. L’attore/danzatore – che è abituato al training giornaliero -, scrive il suo testo fisico stimolato dal testo linguistico che ha elaborato il drammaturgo secondo la metodica di lavoro sopra indicata. E il regista? Il regista pone l’attore e lo spettatore al centro della operazione di scrittura scenica, con tre scopi fondamentali: orientare e utilizzare la drammaturgia dell’attore/danzatore, montare la “azioni al lavoro” teorizzate da Barba, stimolare la drammaturgia dello spettatore facendolo sentire utile di fronte alla visione scenica.

E’ a quest’ultimo - allo spettatore -, che spetta la decodifica dello spettacolo e, come ci ha insegnato Grotowski, la individuazione dei personaggi.  Dunque, è proprio la ricerca personalizzata del significato dello spettacolo e la individuazione del carattere dei personaggi che rende utile,  attivo, operativo lo spettatore. La sua fertile e ineludibile presenza genera così una drammaturgia di quarta generazione – dopo quella dello scrittore (che elabora il testo linguistico partendo da un testo fisico), dell’attore (che lavora sulla struttura fisica) e del regista (che è responsabile del processo di fornalizzazione). E’ il regista che lavora pensando allo spettatore, non il drammaturgo. Quel regista che, facendolo sentire utile, gli riconosce un ruolo creativo di fondamentale importanza.

Sulla tesi grotowskiana, secondo la quale l’attore e il regista non hanno il compito della individuazione dei personaggi - che spetta invece allo spettatore -, ho scritto qualcosa nel precedente articolo dedicato al lavoro sulle azioni fisiche che da molto tempo considero alla base della scrittura drammaturgica.

Ora, a proposito del rapporto tra palcoscenico e platea, tra attore e spettatore, vorrei richiamare l’attenzione su quella particolare energia di cui favoleggiano molti attori del teatro di tradizione, i quali la ritengono essenziale ai fini della recitazione. A questo proposito mi sembra opportuno riportare, non la mia testimonianza, ma il racconto  che ha fatto Grotowski con riferimento ad un  importante attore polacco che era abituato a lavorare in modo meticoloso sulla struttura: prima sulla struttura e poi sul processo organico. Un giorno, il maestro polacco andò a vedere uno spettacolo in cui recitava l’amico e notò un fenomeno luminoso insolito. Sembrava che la struttura si sviluppasse in uno spazio molto ampio, che dentro di lui ci fosse qualcosa di luminoso che usciva e che i suoi occhi fossero trasparenti. Il giorno dopo Grotowski gli chiese al telefono cosa stesse succedendo e l’amico l’informò che aveva saputo di essere in pericolo di morte a causa del cattivo stato del suo cuore. E adesso che succede, gli chiese Grotowski? Qual è la differenza quando entri in scena? L’amico rispose che la presenza degli spettatori gli era diventata indifferente. L’indifferenza verso lo spettatore non aveva diminuito il potere della presenza scenica, il fascino, il carisma, anzi lo aveva accresciuto. Il compito dell’attore non è dunque quello di stabilire un rapporto adrenalinico  con lo spettatore, ma di lavorare senza distrazioni sulla struttura, sul processo organico, sul racconto e sul risultato del racconto: in altri parole, sulla soglia dell’agire hic et nunc, alla ricerca dell’energia vitale che è evidentemente interna e non esterna. Il lavoro dell’attore/danzatore sarà reso più facile, se il drammaturgo scriverà per lui e se metterà a sua disposizione un testo linguistico costruito a partire da un testo fisico.