Caro Diario,

è un po’ che ti trascuro, ma eccomi qua a dirti dei primi passi del nuovo anno e anzi, prima ancora, degli ultimi del vecchio. Pochi giorni prima di Natale, contando su un rallentamento delle nostre frenetiche attività riccionesi, prendo il treno e vado a Bolzano. Detto così sembra facile: prendo il treno in quei giorni, proprio quelli del Grande Collasso Ferroviario. Per la verità ne sono uscito relativamente indenne: si, ci ho messo sette ore (più o meno il doppio del normale) da Bologna a Bolzano, ma è stato un viaggio a suo modo gradevole, con cadenze di altri tempi, dal sapore quasi ottocentesco; data la lunga permanenza in carrozza si è avviata tra noi passeggeri una conversazione improntata alla gentilezza reciproca, al gusto dell’aneddoto ferroviario, alla comune deprecazione per le sorti della Patria.
Dalla conversazione piano piano emergevano, come in un romanzo (o in un pezzo teatrale), i diversi personaggi: il giovane docente universitario bolognese dalla sobria eleganza, diretto a Brescia dalla fidanzata; l’esperto di musica classica alle soglie della mezza età, bolzanino di madreligua tedesca e dall’italiano senza accento; il giovane architetto di Vipiteno, trendy e cosmopolita, che aveva lasciato da poco Milano per la ben più ricca e civile Zurigo e che, combinazione!, stava lavorando a Riccione a un nuovissimo hotel di tendenza, il Trampolines, sul lungomare; la studentessa universitaria che sarebbe scesa a Trento per riabbracciare la famiglia e così via. Accade a volte che, in queste nicchie fuori da un tempo costretto, diamo il meglio di noi, proprio perché abbiamo tempo.

Caro Diario, ci facciamo mancare il tempo anche quando ce ne sarebbe a iosa; l’accelerazione frenetica, il ritmo del just in time ci perseguita anche quando non ce ne sarebbe alcun bisogno funzionale...Gli è che, Diario, anche lì vige la legge dei vasi comunicanti: se il ritmo maggiore è quello, freneticamente insensato, ansiogeno, adrenalinico e drogato delle news televisive, quello rimane: l’hostess irlandese di Ryan Air ti fornirà le informazioni sulla sicurezza a bordo in un inglese reso impenetrabile dall’accento e dalle accelerazioni, così come il capo treno italiano reciterà il suo comunicato sulla disponibilità di tranci di torta e panini caldi e freddi, prima in madrelingua, poi in inglese (!) a ritmi incomprensibilmente frenetici e affastellati.

Come che sia, arrivo a Bolzano accolto da una bellissima nevicata notturna, a falde larghe, fitta e placida, quasi disneyana (Diario, lo ammetto: ho visto il meraviglio Christmas Carol!); saluto l’esperto di musica classica e la vecchia madre che era venuta ad accoglierlo, rintraccio senza difficoltà l’albergo dove passare la notte e, dopo un sonno ristoratore, mi reco all’appuntamento con Marco Bernardi, il direttore del Teatro stabile bolzanino.
Non ci vedevamo da un po’. L’incontro è molto cordiale: sono lì per ricevere da Bernardi il progetto di produzione del testo che ha vinto l’ultimo Premio Riccione, Avevo un bel pallone rosso, di Angela Demattè, giovane attrice e autrice trentina.

Marco Bernardi è un direttore di teatro capace e testardo: continua, in mezzo a difficoltà crescenti, a produrre gli autori italiani.
Giusto dieci anni fa aveva prodotto Due fratelli, il testo con cui l’allora ventiduenne Fausto Paravidino aveva vinto il nostro Premio Tondelli. Con quella produzione Fausto si affacciava sulla scena italiana già tutto formato, come Atena dalla capoccia di Zeus; si potrebbe quasi dire svecchiandola con la sua sola presenza: sola, poi, si fa per dire! Una e trina, semmai, dato che Fausto è forse prima di tutto attore particolarissimo e poi certo autore di talento e regista efficace, come si è visto anche nel recente allestimento di La malattia delle famiglia M, - e con grande godimento - al Teatro Litta di Milano. Anche La malattia è una produzione dello Stabile di Bolzano, assieme all’Eliseo diretto da Massimo Monaci, ma di questo parleremo di più, caro Diario, la prossima volta.

Per questa puntata su dramma.it ho chiesto a Marco Bernardi di scrivere di Angela Demattè e del suo lavoro con lei. Ecco cosa ci ha scritto Marco, con l’usuale cortesia, sul lavoro del suo teatro e sulla scoperta, avvenuta a Bolzano prima che a Riccione, di una nuova autrice del teatro italiano.

Il lavoro del Teatro Stabile di Bolzano si è caratterizzato negli ultimi 10 anni con una forte vocazione alla promozione della drammaturgia italiana contemporanea mettendo in scena due novità italiane ogni stagione con uno sforzo produttivo e intellettuale di notevoli proporzioni e che non trova molti riscontri nelle abitudini della tradizione teatrale italiana. In questo decennio abbiamo dato vita a spettacoli con testi di Dario Fo, Franca Rame, Fausto Paravidino, Ettore Scola, Sergio Pierattini, Roberto Cavosi, Isabella Bossi Fedrigotti, Stefano Massini, Maurizio Donadoni, Pierpaolo Palladino, Leonardo Franchini, Pino Loperfido, Ugo Ronfani, Franco Maurina, Ferruccio Cainero, Andrea Castelli, Giampiero Rappa, Fabio Marcotto, Antonio Caldonazzi, Sandro Ottoni, Paolo Bonaldi, Bruna Dal Lago, Andrea Rossi. Nel 2006 il Teatro Stabile di Bolzano ha vinto il Premio della Critica per la Stagione Teatrale 2005/2006, assegnato dall’Associazione Nazionale Critici di Teatro per “la promozione del teatro italiano contemporaneo”.

Nella stagione teatrale 2009/2010 i due testi nuovi prodotti dal Teatro Stabile di Bolzano sono “La malattia della famiglia M” di Fausto Paravidino, in tournè diretto dall’autore con grande successo di pubblico e critica, e “Precarie età”, una bella commedia di Maurizio Donadoni che andrà in scena in maggio a Bolzano con la regia di Cristina Pezzoli e l’interpretazione di Patrizia Milani e Maria Paiato. Per quanto riguarda la stagione 2010/2011 le novità saranno una commedia del giovane autore bolzanino Andrea Montali dedicata alla condizione giovanile e il testo vincitore del Premio Riccione Teatro 2009, “Avevo un bel pallone rosso” di Angela Demattè, un’attrice e scrittrice trentina di 29 anni.
Il testo racconta, attraverso una serie di dialoghi tra padre e figlia che si svolgono dal 1965 al 1975, l’ultimo anno di università di Margherita Cagol alla facoltà di sociologia di Trento, l’incontro e il matrimonio con Renato Curcio, la presa di coscienza politica, il trasferimento a Milano nel 1969, l’entrata nella clandestinità e la fondazione delle Brigate Rosse, fino alla morte violenta della Cagol avvenuta in uno scontro a fuoco con i carabinieri il 5 giugno 1975. In scena due personaggi: Margherita e suo padre. I loro dialoghi, tra dialetto trentino e lingua italiana, raccontano la vicenda della fondatrice delle BR e, soprattutto, delineano il rapporto concreto e drammatico tra un padre e una figlia. Poi, inevitabilmente, salta fuori quella progressiva incomunicabilità tra generazioni che il ’68 ha reso così evidente: perché le ragioni, gli ideali dei figli diventavano incomprensibili per i padri. Una frattura vissuta da tutti noi anche oggi, come figli o come padri.

Credo di essere stato uno dei primi, nell’estate del 2008, a leggere “Avevo un bel pallone rosso”, che nel giugno del 2009 ha vinto la cinquantesima edizione del Premio Riccione per il Teatro. Ero già interessato allora, per evidenti ragioni storiche, tematiche e territoriali, alla produzione di questo spettacolo: l’assegnazione del più prestigioso premio teatrale italiano mi ha ulteriormente confortato e rafforzato nella volontà di metterlo in scena. Abbiamo quindi concordato con l’autrice un progetto di produzione che prevede l’andata in scena dello spettacolo in prima nazionale a Bolzano nel Teatro Studio del Teatro Comunale l’11 novembre 2010, seguirà una tournè in tutta la regione Trentino Alto Adige fino al 19 dicembre 2010 e poi contiamo di portare lo spettacolo a Roma, Milano e altre piazze.

Dopo un’attenta riflessione condivisa con l’autrice, abbiamo deciso di affidare la regia a Carmelo Rifici, uno dei più interessanti giovani registi della scena italiana, collaboratore di Ronconi al Teatro Stabile di Torino e al Piccolo Teatro di Milano, vincitore due volte (nel 2005 e nel 2009) del Premio della Critica e fresco vincitore del Premio Eti Olimpici del Teatro come miglior regista del 2009. Le scene saranno di Guido Buganza, i costumi di Margherita Baldoni, entrambi collaboratori abituali di Rifici. Lo spettacolo sarà interpretato da Andrea Castelli nel ruolo del padre e dalla stessa Demattè nel ruolo di Margherita Cagol. Castelli è il miglior attore di prosa del Trentino, oltre che autore e regista affermato, Demattè è un’ottima giovane attrice trentina, sottolineo questo aspetto poichè la conoscenza e la pratica teatrale del dialetto trentino sono essenziali per l’interpretazione di questo testo, scritto com’è in massima parte in dialetto e dove il dialetto gioca un ruolo poetico straniante e simbolico fondamentale per il rapporto padre/figlia.


Marco Bernardi