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Anche se in ritardo rispetto alla sua pubblicazione, vale la pena di presentare questo volumetto in cui uno degli spettacoli più replicati degli ultimi anni si offre alla lettura di quanti non hanno potuto vederlo a teatro o anche di quelli che invece lo hanno già visto ed applaudito. Il testo scritto non è mai corpo sul palcoscenico ma la tridimensionalità di Luigi, il contadino siciliano emigrato in Germania negli anni 60, è ben visibile anche tra le pagine di questo libro. Si tratta di un tema a dir poco già trattato ma proprio per questo il lavoro di Borruso appare ancora più sorprendente perchè del "già visto" ha ben poco. Il monologo di Luigi è vivo e coinvolgente, ma non racconta direttamente la sua vicenda di emigrante. Racconta se' stesso, come persona, attraverso il suo linguaggio, le sue lettere alla moglie e ai due figli, le sue domande, le sue paure, i suoi sogni. Il pezzo non tratta dell'emigrazione, ma più della ricerca disperata, seppur dignitosissima, di un'identità. Cìè dunque poco di didascalico e cronachistico nella drammaturgia di Borruso, poco del teatro civile più di tendenza. C'è invece molta drammaturgia, c'è un personaggio e i suoi conflitti. A dir la verità solo l'epilogo, aggiunto più tardi alla prima versione dello spettacolo, assume le sembianze di quel teatro civile che vuol insegnare qualcosa. Un Luigi anziano porta inevitabilmente la sua testimonianza nell'Italia di oggi che da terra di emigrazione è divenuta terra d'immigrazione. Neanche in questo caso però viene abbandonato lo stile leggero ed evocativo che caratterizza tutto il resto. Da leggere e da vedere in una delle prossime repliche. La postfazione è di Salvatore Rizzo.

Luigi che sempre ti penza
di Gigi Borruso
Navarra Editore 2011
Pagg. 61 € 8,00
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