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“1952, a Danilo Dolci”, scritto e diretto dal messinese Tino Caspanello e realizzato insieme da Pubblico Incanto e dalla Compagnia dell’Arpa di Filippa Ilardo, è uno spettacolo complesso, raffinato e assai poetico. Lo s’è visto al debutto, in prima nazionale, venerdì scorso a Castrovillari nel contesto del Festival “Primavera dei teatri 2012 (fioritura tardiva)”. Si tratta di uno spettacolo tutto giocato sulle corde della sensibilità artistica di Caspanello che lavora alla sua elaborazione da più di un anno e che davvero si è innamorato della figura e dell’opera di Danilo Dolci, fino a costruirci uno spettacolo che non racconta tanto dei fatti della vita di questo straordinario protagonista della cultura italiana novecentesca (sociologo, poeta, pedagogo, instancabile organizzatore politico, inesausto testimone non violento) ma prova a sintetizzarne il senso profondo attraverso il respiro della scena e della poesia. In scena, nel mood ritmico, sonoro ed emotivo di un viaggio in treno verso la Sicilia (un viaggio dll’anima), ci sono Cinzia Muscolino (bravissima e potente, come sempre, nel ruolo di una madre/signora tutta d’un pezzo, spigolosa e frustrata portatrice sana di un tipo di educazione repressiva e bigotta ai danni del suo bambino), Tino Calabrò (nei panni di un soldato che subisce inerte le direttive della cultura violenta, fascistoide e machista che ha permeato per anni le forze armate del nostro paese), lo stesso Caspanello (un politico che fa dell’ambiguità, del sofisma intimidatorio, del ricatto obliquo la sostanza e la ragione del suo mestiere), Elisa Di Dio (una madre che reclama, muta, disperata, la possibilità di poter nutrire il figlio) e infine, bravo e intenso come sempre, Filippo Luna a interpretare lo stesso Dolci nel momento in cui assume definitivamente, nel 1952, la decisione di restare in Sicilia (a Trappeto e a Partinico, in particolare) a condividere la sua vita con quella dei disperati e degli ultimi della nostra Isola. Uno spettacolo molto poetico, come s’è detto: e non tanto per l’eleganza rarefatta dei testi (e questa non sarebbe certo una novità nel teatro di Caspanello), quanto perché è nella poesia che viene rintracciato (e quindi proposto al pubblico) il senso profondo dell’avventura umana e politica di Dolci. Uno spettacolo perfetto allora? No, non del tutto, in quanto al di là della proposta al pubblico, della fascinazione innamorata, al di là insomma della riscoperta stupefatta di una interessantissima (e rimossa) personalità, appare abbastanza chiaro che è carente in esso quell’azione centrale che possa sostenere la drammaturgia dell’intera operazione.

Foto Maria Catalano